Assassin’s Creed Shadows: viaggio tra le ombre del Sol Levante

Assassin's Creed Shadows
Dopo anni di attesa trepidante. Dopo aver solcato i mari dell’antica Grecia, scavalcato le dune del deserto più caldo della Terra risolvendo gli enigmi della Sfinge. Dopo aver brindato e bevuto da corni vichinghi alla fine di qualche razzia, il mio viaggio mi porta in Asia, nell’antico Giappone Feudale. Qui ha inizio la mia esperienza in Assassin’s Creed Shadows.

Assassin’s Creed Shadows è un titolo che ha sulle spalle una responsabilità enorme. Non è solo l’ ennesimo capitolo di una delle saghe videoludiche più amate. Rappresenta un jolly che potrebbe segnare il riscatto o il colpo di grazia per una software house, Ubisoft, in crisi da tempo. Quella del Giappone Feudale è un’ambientazione richiesta a gran voce dagli amanti della saga sugli Assassini, che oggi possiamo vivere in prima persona attraverso gli occhi di una shinobi e un samurai.


Naoe la shinobi


La prima volta che ho posato piede nel Giappone del periodo Sengoku di Assassin’s Creed Shadows, la pioggia cadeva come lacrime dimenticate dagli dei. I tetti delle case in legno cigolavano sotto il peso del tempo, e le lanterne oscillavano sospese tra sogno e memoria. Non avevo un nome, o forse lo avevo dimenticato tra le ombre. Solo una certezza mi guidava: il passato non si osserva, si vive. Così, quando mi sono svegliato nei panni di Naoe, shinobi figlia della guerra e del dolore, ho sentito la lama nel cuore prima ancora che nella mano. Le strade erano strette, i mormorii della città mi sfioravano come carezze ostili. Non è solo un’ambientazione, mi dicevo, è un richiamo.


Un Giappone vivo ma ferito


Il Giappone di Assassin’s Creed Shadows non è una cartolina turistica, è un mosaico di anime infrante. L’eredità visiva lasciata da titoli come Ghost of Tsushima aleggia in ogni dettaglio, ma qui c’è qualcosa di più sporco, più spezzato. Le ombre non servono solo a nascondersi, servono a ricordare. Eppure, anche tra le meraviglie di Kyoto o i campi di battaglia arsi dal fuoco, non tutto brillava allo stesso modo. Alcuni volti si ripetevano come spiriti confusi, e i passanti sembravano muoversi per dovere, non per scelta. Ma ogni volta che scivolavo su un tetto, che stringevo il kunai e guardavo il mondo dall’alto, sentivo la leggerezza del vento: quel senso di libertà che Ubisoft sa ancora donare, quando dimentica le sue catene.


Yasuke il samurai


Conosco Yasuke, il samurai africano. La sua voce è tuono, il suo sguardo è tempesta. Non è solo il primo protagonista di colore della saga, è una rottura. Un’increspatura nell’acqua placida della tradizione, e allo stesso tempo una riflessione profonda su cosa significhi appartenere a un luogo che non ti appartiene. Giocare nei suoi panni è stato come indossare un’armatura pesante fatta di storia e giustizia. Dove Naoe danza silenziosa tra le ombre, Yasuke travolge come un’onda. Due mondi, due anime. La narrativa intreccia le loro vite con una delicatezza quasi lirica, e in quelle intersezioni ho trovato la parte più umana del gioco. Sì, a volte il ritmo narrativo inciampa, perde mordente, come se la sceneggiatura cercasse sé stessa in un labirinto di cliché. Ma quando la trama riesce a respirare, quando lascia spazio alla tensione silenziosa o al dramma più intimo, allora tutto si ricompone.

Assassin's Creed Shadows
Yasuke, il samurai / Ubisoft

Tra gioco e storia


Il gioco non ha paura di essere politico, e lo fa con grazia. La presenza di Yasuke non è solo simbolica, è un faro in un’epoca di oscurità, una lente attraverso cui osservare il razzismo, la guerra, la lealtà. Avrei voluto più momenti simili, più pause tra un’imboscata e un assassinio, per capire davvero chi fossimo. Perché in fondo Assassin’s Creed è sempre stato questo: un viaggio interiore travestito da epopea storica. E qui, nel cuore del Giappone del XVI secolo, l’anima vibra forte, anche quando le mani tremano.


Persi nella bellezza di Assassin’s Creed Shadows


Camminare tra i templi abbandonati e le foreste di bambù, sentire i tamburi della battaglia lontani e il canto dei monaci in sottofondo, è stato come vivere in un haiku. Il level design non è solo estetica, è una poesia visiva. La verticalità ritorna protagonista, finalmente, e la mappa sembra sussurrare segreti al giocatore attento. Scalare un castello non è solo una sfida meccanica, è una dichiarazione d’intenti. Ubisoft qui dimostra una maturità artistica che non vedevo da tempo. C’è una bellezza silenziosa in ogni scorcio, un amore per i dettagli che mi ha fatto rallentare, camminare, osservare. Ma anche questo incanto ha le sue crepe.


Agiamo nell’ombra…


Le meccaniche stealth, che dovrebbero essere il cuore pulsante dell’esperienza di Naoe, a volte sembrano slegate dal contesto, vittime di un’intelligenza artificiale che si muove tra genio e ingenuità. Un samurai può ignorarti se sei nell’ombra, ma può anche vederti attraverso un muro, come se le leggi del mondo fossero scritte a metà. Eppure, nonostante questi inciampi, ho continuato. Perché il mondo di Assassin’s Creed Shadows non si abbandona. Ti chiama, ti invita a immergerti. È un richiamo antico, come il suono di uno shakuhachi tra le montagne.

Assassin's Creed Shadows
Un’ambientazione di poetica bellezza / Ubisoft

…per servire la luce


Non c’è open world senza scoperta e in Assassin’s Creed Shadows ogni passo fuori dai sentieri battuti ha un peso. Le missioni secondarie raccontano frammenti di un Giappone più vero di quanto avrei immaginato. Non tutte brillano, alcune si perdono nel già visto, ma altre restano scolpite. Ricordo un contadino che cercava il figlio scomparso, una donna che cantava per i morti, un bambino che nascondeva poesie tra le rocce. Sono questi momenti, minimi e struggenti, a dare anima al gioco.

Il sistema di progressione, però, resta ancorato a una struttura ormai stanca. Troppi menu, troppi numeri. Ogni tanto mi sentivo più contabile che assassino. Avrei voluto meno interfacce, più immersione. Meno icone, più intuizione. La dualità Naoe-Yasuke avrebbe potuto aprire un mondo di gameplay asimmetrici, ma spesso si riduce a una scelta tra due stili, senza reali conseguenze. Ma nonostante tutto, la narrazione, il mondo, la direzione artistica riescono a tenermi legato. Non per i premi, non per i punti esperienza, ma per quel senso di meraviglia che solo certi giochi sanno dare. Un’emozione che viene da lontano.

Assassin's Creed Shadows
Interfaccia dell’equipaggiamento / Ubisoft

Assassin’s Creed Shadows, un’ode al Credo


Alla fine, quando l’ultimo colpo è stato sferrato e l’ultima verità rivelata, sono rimasto in silenzio davanti a un albero di ciliegio. I petali cadevano piano, come neve rosa, e il vento portava via i miei pensieri. Avevo vissuto due vite, visto due mondi, indossato due maschere. Assassin’s Creed Shadows non è perfetto. Ha momenti in cui il ritmo si rompe, in cui la mappa si fa troppo densa, in cui l’esperienza si piega sotto il peso del suo stesso passato. Ma è anche un’opera audace, coraggiosa, che osa raccontare un Giappone complesso senza cedere alla tentazione dell’esotismo.

È un viaggio che parla di identità, di ribellione, di appartenenza. È un titolo che ti chiede di ascoltare prima di agire, di osservare prima di combattere. E se ci riesci, se riesci a lasciare andare le aspettative e ad abbandonarti al flusso della storia, allora Shadows sa ricompensarti con momenti di rara bellezza. Come quel petalo sospeso nell’aria, che non cade mai davvero, ma continua a danzare, sospeso tra ombra e luce.

Concluso un viaggio, ne inizia un altro. Tra luci e ombre si celano storie colme di stupore, che attendono di essere raccontate.

#INBREVE

Un cammino tortuoso, ma giusto

Assassin’s creed Shadows è un’ode alla bellezza del Giappone feudale. Un ennesimo tentativo da parte di Ubisoft di farsi amare da quel pubblico che troppo spesso si vizia di pregiudizi. Nonostante il cammino sia ancora lungo e parecchio in salita, è quello giusto.

Cresciuto sulle ginocchia di papà davanti a Turok e Tomb Raider.
Ambizioso sognatore, promotore di storie.
Grazie ai videogiochi ho vissuto milioni di vite.
Grazie a manga e anime ne sono stato spettatore.

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