Cure, di Kiyoshi Kurosawa, finalmente arriverà nei cinema italiani

Un thriller che lascia il segno (X)
Nel panorama del cinema giapponese degli anni ’90, pochi film hanno avuto un impatto così profondo e duraturo come Cure di Kiyoshi Kurosawa. Questo thriller psicologico, uscito nel 1997, non solo ha segnato un punto di svolta nella carriera del regista, ma ha anche anticipato alcuni elementi chiave del J-Horror, un genere che avrebbe dominato la scena cinematografica giapponese negli anni successivi.
Ambientato in una Tokyo grigia e opprimente, Cure segue le indagini del detective Ken’ichi Takabe (interpretato da Kōji Yakusho) su una serie di omicidi inquietanti. Le vittime vengono assassinate da persone comuni, apparentemente prive di motivazione, e tutte riportano la stessa macabra ferita a forma di X sul collo. Man mano che il caso si sviluppa, emerge una figura enigmatica: Kunihiko Mamiya (Masato Hagiwara), un giovane apparentemente senza memoria, che sembra esercitare un’influenza ipnotica su coloro che incontra. Takabe, combattuto tra il senso del dovere e il peso della malattia mentale della moglie, si trova progressivamente coinvolto in un gioco di specchi, in cui la distinzione tra il razionale e l’irrazionale si fa sempre più labile.
La maturazione di Kiyoshi Kurosawa
Fino a quel momento, Kurosawa aveva avuto una carriera altalenante. Aveva esordito nel mondo del pinku eiga (film erotici) e del V-cinema (produzioni a basso budget destinate al mercato home video), ma senza ottenere un vero riconoscimento internazionale. Cure rappresenta, dunque, non solo il suo ritorno al grande schermo, ma anche la consacrazione come autore. Il film viene presentato ai festival di Rotterdam e Toronto, dove colpisce la critica per il suo stile rigoroso e per il modo in cui riesce a trasmettere un senso di inquietudine sottile e pervasiva.
Lo stile di Kurosawa si distingue per la sua capacità di creare tensione senza ricorrere a facili espedienti. La sua regia è caratterizzata da inquadrature lunghe e statiche, che amplificano il senso di impotenza dei personaggi di fronte a una minaccia sfuggente e inafferrabile. Il suo approccio alla paura è più psicologico che visivo: l’orrore non nasce da ciò che si vede, ma da ciò che si intuisce.
Il precursore del J-Horror
Sebbene Cure sia più vicino al thriller psicologico che all’horror puro, il film contiene molti degli elementi che diventeranno caratteristici del J-Horror. Il male, in Kurosawa, non è mai un’entità concreta e definita, ma qualcosa di impalpabile e inarrestabile. Questa visione influenzerà profondamente il genere, che da lì a poco esploderà con The Ring, di Hideo Nakata, (1998), tratto dal romanzo di Kōji Suzuki.
Uno degli elementi distintivi del J-Horror è la presenza degli yūrei, spiriti vendicativi incapaci di trovare pace. In Cure, questa figura si manifesta in modo più sottile: Mamiya sembra essere un’entità quasi soprannaturale, capace di insinuarsi nella mente degli altri e spingerli alla violenza senza che nemmeno loro comprendano il perché. Proprio quest’atmosfera di incertezza e sospensione è ciò che rende il film così disturbante.
La struttura circolare e l’ineluttabilità del destino
Uno degli aspetti più affascinanti di Cure è il modo in cui Kiyoshi Kurosawa utilizza la ripetizione per rafforzare la sensazione di un destino già scritto. Nel corso del film, infatti, Takabe rivive situazioni simili più volte: visita due volte lo stesso ristorante, sale sullo stesso autobus, si trova in scene che sembrano ripetersi con leggere variazioni. Questo schema ciclico suggerisce che il protagonista sia intrappolato in una spirale da cui non può uscire, un tema che tornerà in molte altre opere del regista.
Anche il finale lascia aperti molti interrogativi. Takabe è davvero riuscito a fermare la catena di omicidi? O ne è diventato il nuovo anello? Kurosawa aveva inizialmente pensato a un epilogo più esplicito, in cui Takabe, ormai senza memoria, vagava su una spiaggia deserta, riecheggiando l’ingresso in scena di Mamiya. La scelta di mantenere un finale più ambiguo rafforza, però, ulteriormente il senso di ineluttabilità che permea il film.
L’eredità di Cure
A distanza di quasi trent’anni, Cure resta, dunque, un’opera fondamentale nel cinema giapponese contemporaneo. Ha influenzato registi sia in patria sia all’estero, contribuendo a ridefinire i confini tra il thriller e l’horror. Kurosawa, con questo film, ha dimostrato che la paura più profonda non nasce da creature mostruose o da spettri vendicativi, ma dall’incapacità di comprendere la realtà che ci circonda.
Con la sua recente riedizione in 4K, il film offre una nuova occasione per riscoprire il talento di un autore che ha saputo trasformare il cinema di genere in qualcosa di profondamente filosofico ed esistenziale. Cure non è solo un thriller avvincente, ma un viaggio nella fragilità della psiche umana, che ancora oggi continua a lasciare il segno nello spettatore.
L’appuntamento è, quindi, per giovedì 3 aprile quando Cure, di Kiyoshi Kurosawa, finalmente approderà nei cinema italiani grazie a Double Line, società che si è anche occupata della distribuzione di INU-OH. La pellicola arriverà in in versione restaurata 4K e con doppiaggio italiano, con Vittorio Guerrieri (Yakusho), Alessio Puccio (Mamiya), Marco Benvenuto (Sakuma).
Appassionata di scrittura ed innamorata della cultura giapponese, trovo ispirazione sia nei racconti in cui mi immergo sia nei videogiochi che esploro. Attraverso manga, anime e la ricca tradizione artistica del Giappone, coltivo la mia creatività e la mia curiosità per mondi nuovi e avvincenti.