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Junji Ito Maniac: l’orrore dalla carta allo schermo

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Sedute spiritiche, città misteriose e creature inquietanti. Abbandonarsi alla paura è d’obbligo al cospetto delle opere di Junji Ito. Tuttavia, il suo nome non è sufficiente a travolgere completamente il cuore degli spettatori in questa serie Netflix.

Junji Ito Maniac è una selezione di 20 racconti brevi di uno degli autori di manga horror più conosciuti e apprezzati: Junji Itō. Animata per Netflix da Studio Deen, la serie è uscita agli inizi del 2023 e conta 12 episodi. Alcune storie occupano i 20 minuti dell’intero episodio mentre altre, essendo lunghe una decina di minuti, sono presentate in coppia. In Italia, i racconti di Junji Itō si possono trovare nelle antologie edite da J-Pop come, per esempio, Ruggito e altre storie o Labirinto e altre storie.

Prendendo in prestito il titolo di uno dei racconti presenti in Junji Ito Maniac, ovvero Strati di terrore, si può dire che il modo migliore per parlare di questa serie sia proprio analizzandone gli strati uno alla volta. Un qualsiasi tipo di prodotto si può certamente considerare come un elemento a sé stante, solido e unico. Tuttavia, specialmente in questo caso, risulta più utile soffermarsi sui singoli componenti dell’elemento che, accumulati uno sopra l’altro proprio come degli strati, vanno a creare il prodotto finale.

Con questa premessa si può dunque partire con l’osservare attentamente le vere e proprie storie che vengono fatte ascoltare al pubblico, ovvero i racconti brevi in quanto tali.


Attorno al fuoco


Il celebre scrittore Haruki Murakami, conosciuto soprattutto per i suoi romanzi, è anche autore di una bellissima introduzione scritta per Rashōmon e altri racconti. Questa raccolta comprende varie storie scritte da Akutagawa Ryūnosuke, importantissimo autore giapponese e maestro dei racconti brevi. Nel parlare proprio di questa tipologia narrativa, Murakami scrive:

«Su cento racconti, se dieci sopravvivono per le generazioni seguenti, si può parlare di un grande successo. Non è possibile che ogni opera sia un capolavoro, né si può criticare uno scrittore per aver scritto opere mal riuscite. La vita è un lungo percorso, le cose a volte vanno bene, a volte no.»

Ovviamente, noi non possiamo ancora avere la certezza di quanti o quali racconti di Junji Itō rimarranno presenti nella memoria delle prossime generazioni, soprattutto perché egli è anche autore di meravigliose opere più lunghe come, per esempio, Uzumaki.

Junji Ito Maniac

Tomie Kawakami in Junji Ito Maniac via @itsRav3n on Pinterest

Un discorso di questo tipo si può, però, applicare se visto da un’altra prospettiva, cioè se si considera la soggettività dei lettori o spettatori odierni. La fantasia di Itō abbraccia temi, storie, personaggi, ambientazioni e tanto altro in modo così variegato che, per forza di cose, ciascuno dei suoi racconti è destinato a toccare la sensibilità di molti lettori, ma non necessariamente di tutti. Chi soffre di talassofobia può trovare una maggiore sensazione di terrore in Oggetti trascinati a riva. Gli appassionati dello splatter possono considerare più accattivanti racconti come Sculture senza testa o I lunghi capelli in soffitta.

Si passa da storie più serie ad altre più leggere, particolarmente brevi o leggermente più lunghe. Dunque, non è completamente giusto definire “mal riuscite” quelle opere che potrebbero non aver colmato appieno il proprio gusto personale.

Anche per coloro che non sono appassionati del genere horror, le storie di Junji Itō rimangono un buon compromesso. La sua incredibile originalità dà vita a narrazioni veramente appassionanti che ricalcano un genere che punta, più che a far urlare di paura lo spettatore, a suscitare emozioni contorte, disturbanti e raccapriccianti. Sono tutte storie che giocano con la psiche, prendendo spunto da situazioni anche quotidianamente individuabili per poi tramutarle in qualcosa di estremamente angosciante.

Ci sono dei personaggi facilmente riconoscibili come Tomie, protagonista di uno dei più noti lavori di Itō, e Soichi. Quest’ultimo è legato nella serie a due storie leggere, volte più a fomentare una sottile ironia, risvegliata proprio dalla sua personalità. Figura ricorrente nei racconti di Itō, questo ragazzo disturbato e disturbante, amante dei chiodi e in grado di scagliare maledizioni suscita la simpatia degli spettatori.

Junji Ito Maniac

Idol Terumi Fujino in Junji Ito Maniac via @itsRav3n on Pinterest

Non esiste un vero e proprio filo conduttore che lega le storie tra loro. Tuttavia, si possono trovare dei piccoli Easter eggs in alcuni episodi. Una televisione ne L’autobus dei gelati mostra un’intervista alla idol presente nel successivo episodio Palloncini appesi; ne Il vicolo sul retro si vede il protagonista leggere Inferno di spine, libro citato in Allucinazioni in biblioteca.

Inoltre, al termine della sigla finale si può sentire una lugubre voce menzionare ambiguamente ciò che succederà nell’episodio successivo. Nel mentre, sullo schermo si stagliano figure fluorescenti e grottesche.

Prendendo le mosse proprio da questi disegni psichedelici, si può passare all’analisi del secondo strato che ricopre la serie, ovvero quello formato essenzialmente dalle immagini che si susseguono davanti agli occhi dello spettatore: le animazioni.


La parte dell’occhio


Questo strato non è altro che il vero e proprio “tasto dolente” di Junji Ito Maniac. Studio Deen è conosciuto ai più per i suoi progetti che non sempre brillano per spettacolarità nelle animazioni, com’è riscontrabile, per esempio, nelle ultime stagioni di The Seven Deadly Sins. Inoltre, lo studio aveva già lavorato sulle opere di Junji Itō. Nel 2018, infatti, esce su Crunchyroll Junji Ito Collection, anime antologico di 12 episodi che segue anch’esso altre storie brevi del mangaka.

Junji Ito Maniac

“Palloncini appesi” in Junji Ito Maniac via @benzuzayliyim on Pinterest

Guardando la serie è quasi del tutto innegabile che l’originalità delle storie venga spesso relegata a un secondo piano immeritato. Questo avviene (purtroppo) per l’impossibilità di non notare animazioni al limite della sufficienza. L’attenzione dello spettatore è forzatamente ridotta nei confronti della trama e del susseguirsi delle situazioni terrificanti. Il senso di inquietudine tipico di questi racconti si scontra con immagini che si rivelano inadeguate a rappresentare correttamente la loro essenza. In questo modo, si sgretolano quelle tetre atmosfere che costituiscono una delle basi fondamentali nella narrativa di Itō.

È giusto però demonizzare l’intera serie per colpa delle animazioni? Questa è sicuramente una domanda a cui ogni appassionato è in grado di dare una risposta diversa e personale. Cercando di essere il più oggettivi possibile, si potrebbe dire che la verità risiede esattamente tra il “si” e il “no”. In altre parole, dipende dalla capacità del singolo fruitore di andare oppure no oltre la qualità delle animazioni. Alcuni possono trovare esclusivamente in esse una ragione per guardare un determinato prodotto e se queste non si rivelano all’altezza la ritirata è immediata a prescindere dalla trama. Altri, invece, potrebbero essere più interessati alla storia in quanto tale e apprezzare di più una narrazione accattivante, ma con animazioni di serie B.

La ragione si trova nel mezzo proprio perché entrambi i punti di vista sono validi al 100%. Il pendolo della verità oggettiva oscilla costantemente da una parte all’altra. Essa varia non solo da persona a persona, ma anche da prodotto a prodotto e da momento a momento della vita individuale dello spettatore.

Per quanto riguarda specificatamente Junji Ito Maniac, il giudizio finale rimanda quasi esclusivamente ai gusti dello spettatore. Tuttavia, chiunque avrebbe ovviamente apprezzato un connubio migliore tra storia e animazione.


L’anima di Junji Ito


Nel paragrafo precedente si è detto che il giudizio finale per quanto concerne le animazioni rimanda “quasi esclusivamente” a gusti dello spettatore. Questo perché il terzo e ultimo strato che va a ricoprire la serie ha a che fare con l’anima stessa di Junji Itō. La questione, probabilmente la più importante nell’analisi di Junji Ito Maniac, è infatti direttamente influenzata da questo tipo di animazioni. Nel passaggio dalla carta allo schermo, viene rispettata in egual misura la natura intrinseca delle opere di questo grande autore?

Per quanto riguarda strettamente i racconti animati in Junji Ito Maniac, specialmente quelli presentati a coppie in un unico episodio, la narrazione potrebbe sembrare fin troppo breve o addirittura “interrotta sul più bello”. In realtà, sotto questo punto di vista, la serie rappresenta una trasposizione piuttosto fedele dei racconti originali. Nonostante ci siano delle piccolissime variazioni, il fulcro delle trame rimane fondamentalmente fisso. Proprio per questo motivo, da una prospettiva legata ai racconti in quanto tali, si può dire che il passaggio da carta a schermo sia riuscito.

Junji Ito Maniac

“Whispering woman” di Junji Ito via @AikaHonenuki on Pinterest

È Junji Itō stesso ad architettare finali, emozioni e incubi del genere. Le narrazioni singhiozzanti dei racconti più brevi raccolgono correttamente uno degli aspetti dello stile del maestro. Lasciare le cose “in sospeso” non fa altro che agitare ancora di più le acque all’interno dell’animo dello spettatore. Non si tratta, infatti, di racconti appartenenti al genere giallo, dove è normale che ci sia un crescendo nel desiderio di scoprire la “verità”. Essendo storie volte a lasciare il pubblico immerso in una sensazione di sconcerto, il motivo per cui avvengono determinati eventi può anche essere trascurato. Non si ha la totale consapevolezza del perché succedono gli orrori narrati da Itō e per questo risulta impossibile sfuggirne. Il “non sapere” causa molto più terrore della verità.

Per quanto riguarda invece il “tasto dolente” di Junji Ito Maniac, il discorso si fa un po’ più duro. Lo stile di disegno di Junji Itō è unico e sono proprio le sue tavole a creare i brividi che trasudano da queste lugubri storie. Le figure mostruose che si stagliano su ombre dense e inquietanti si fondono perfettamente con le trame tanto assurde quanto originali di ciascun racconto. L’incastro perfetto tra storia e disegno è fondamentale per poter apprezzare completamente i lavori del mangaka. È chiaro che tavole del genere siano incredibilmente difficili da trasporre in forma animata, ma è altrettanto vero che una maggiore attenzione nelle animazioni avrebbe potuto portare allo scoperto l’anima di Itō.

Si può forse dire che questo sia un peccato. Per coloro che sono appassionati sia del genere che di Junji Itō stesso, la serie potrebbe risultare poco soddisfacente. Le immagini che appaiono sullo schermo non sono comparabili a quelle che affiorano dalle pagine dei manga firmati dall’autore.

Oltre che per gli appassionati, è un peccato anche maggiore per coloro che desiderano approcciarsi per la prima volta a un mangaka così complesso. Conoscere Junji Itō attraverso questa serie non dona al nuovo spettatore una visione completa dei suoi incubi. Purtroppo, l’inquietante luce della sua mente contorta viene affievolita da animazioni scarse, lasciando il pubblico avvolto in un senso di incompiutezza e di dispiacere per aver assistito a storie originali che, senza ombra di dubbio, meritavano di più.

#INBREVE
3.5

Una paura sufficiente

Junji Ito è e sarà sempre uno dei migliori autori di manga horror. Le sue storie continueranno a terrorizzare una grande quantità di persone attraverso una genialità strabiliante. Proprio per questi motivi risulta difficile definire la serie Junji Ito Maniac come una degna riproduzione dei suoi incubi. Con una maggiore attenzione nelle animazioni si sarebbe potuto assistere a storie così raccapriccianti da raggiungere completamente il cuore del pubblico. Ma la serie, purtroppo, non riesce a provocare più che una paura capace di raggiungere solo la sufficienza.

Studentessa brianzola di 22 anni. Frequento Mediazione linguistica e culturale presso l'Università Statale di Milano. Da circa dieci anni coltivo una grande passione per il mondo animanga. Questo interesse con il tempo si è ampliato alla lingua e alla cultura asiatica, il che mi ha portato a scegliere come lingue di studio il cinese e il giapponese. Per circa sei mesi ho lavorato come commessa in una fumetteria. Inoltre, durante il quarto anno di liceo linguistico ho vissuto a Phoenix in Arizona per dieci mesi.

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