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I samurai, il Giappone: Ghost of Tsushima e il Cool Japan

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Ghost of Tsushima

Il Giappone feudale è sempre stato un must have per il mondo videoludico.

La fascinazione per quell’ambientazione, esotica e misteriosa, rincorre l’Occidente sin dalle prime stampe importate dai mercanti olandesi. Si è sempre collocata come un grande punto di forza nel dare un’immagine del Giappone affascinante per europei, americani e giapponesi stessi.

Da questo ne consegue che l’industria videoludica nipponica abbia attinto da una delle sue rappresentazioni più conosciute e apprezzate.


Di che Giappone parliamo?


Frame del gioco catturato in "modalità Kurosawa"

Frame del gioco catturato in “modalità Kurosawa”. Sony

Ghost of Tsushima (2020) non costituisce un’eccezione in questo senso. Il videogioco, sviluppato dalla software house americana Sucker Punch e pubblicato da Sony Interactive Entertainment, si è da subito collocato come un grande manifesto della figura del samurai.

Per chi ancora non avesse avuto modo di sentirne parlare, Ghost of Tsushima è un videogioco che si colloca tra l’action game e l’adventure game in terza persona, con molte meccaniche legate allo stealth. Il gioco ruota attorno alle vicende dell’invasione mongola dell’isola di Tsushima nel 1274, durante il periodo Kamakura (1185-1333), e in particolare del samurai Jin Sakai, nipote del signore feudale dell’isola. La trama si concentra infatti sulla dicotomia che si crea tra il concetto di “codice guerriero” e la salvezza dell’isola, che nella persona di Jin si intersecano come un dilemma morale costituendo l’ossatura etica del gioco.

In occasione del terzo anniversario dalla sua uscita e della prossima uscita della Director’s Cut per PC, in questo articolo andremo ad approfondire l’etica rappresentata dal gioco in relazione con la sovrastruttura cui si riferisce, ossia l’etica samurai.


Estetica “alla Kurosawa”


Ghost of Tsushima è diventato famoso principalmente per l’estrema cura data all’aspetto estetico del mondo di gioco. Prima fra tutte è peculiare la “modalità Kurosawa”. Un richiamo al regista giapponese di maggior rilievo nella produzione di jidaigeki [1], la funzione permette di eliminare i colori attivando un filtro in bianco e nero che riproduce l’effetto delle vecchie pellicole per rendere il gioco simile in tutto e per tutto ad un vecchio film di samurai. Lo stesso richiamo al genere si può riscontrare nella modalità in cui vengono gestite le cutscene, in particolare in situazioni specifiche quali i duelli, la cui “messa in scena” presenta un richiamo davvero evidente ai jidaigeki.


“Essere un vero guerriero”: dalle ideologie del passato…


In generale, il gioco impiega molte delle sue forze nella rappresentazione di un ambiente estremamente estetizzato e gradevole per lo sguardo e per farlo si avvale di una delle raffigurazioni più potenti dell’immaginario legato al Giappone: i samurai.

In altre parole, Ghost of Tsushima costruisce uno scenario che rispecchia l’immaginario che il giocatore possiede del Giappone feudale. Uno degli obiettivi degli sviluppatori è stato infatti quello di creare un ambiente che permettesse al giocatore di vagare liberamente nella mappa per godere di un ambiente “bello ed esotico”.

Da questa affermazione si evince quale sia il mondo in cui hanno deciso di ambientare il loro videogioco, ossia uno in cui la componente estetica e romantica è fortemente significativa. In Ghost of Tsushima la componente romantica è data dalla caratterizzazione dei personaggi in relazione ai valori che questi rappresentano ed espongono.

L’intera storia si fonda sul rapporto conflittuale del protagonista Jin con il codice d’onore insegnatogli dallo zio. Per tutto il gioco, il protagonista è perseguitato dal senso di colpa per le sue azioni “disonorevoli”. Inoltre è continuamente posto a giudizio negativo o parzialmente negativo da tutti i personaggi facenti parte della classe guerriera, in primis dallo stesso zio Lord Shimura, che consiste il principale dramma etico di Jin.


Un passato fittizio


Bushidō

Bushidō in kanji

Cosa sia un “vero guerriero” viene sottolineato in continuazione dai dialoghi del gioco, in particolar modo dai soliloqui di Jin e dai flashback in cui il protagonista ricorda gli insegnamenti dello zio. Tali avvenimenti vanno a scemare in contemporanea con il cambiamento interiore del protagonista, che inizia a riflettere su come il codice morale sia di minore importanza rispetto al salvare vite umane a qualunque costo.

Questo pensiero è però presentato in un world setting in cui per un samurai non è ammissibile la rottura del “codice”, pena l’espulsione dalla categoria sociale. Ghost of Tsushima diventa dunque la storia di un outsider capace di pensare fuori dagli schemi in un mondo dove tutti seguono con strenua abnegazione il codice morale della “Via del guerriero”.

Tale costruzione narrativa, per quanto efficace, presenta una problematica relativa all’accuratezza storica. La creazione del concetto di “Via del guerriero” (Bushidō in giapponese) nasce infatti molti secoli dopo l’ambientazione della storia di Jin e a dire il vero molto dopo la fine della classe sociale dei samurai. È infatti stato elaborato per la prima volta nel 1900 con la pubblicazione del libro Bushidō: The Soul of Japan di Nitobe Inazō (1862-1933), scritto originariamente in inglese per dare un’immagine del Giappone agli inglesi al tempo della guerra Russo-Giapponese e solo successivamente reimportato in patria.


Conseguenze pratiche


In-game tale retorica si traduce, oltre ai già citati richiami all’estetica del samurai derivata dal cinema, nelle azioni possibili durante le lunghe sessioni di free roaming, come ad esempio l’opzione (attivabile tramite scorrimento in basso sul touchpad) di poter fare un inchino.

Se fatto in determinate situazioni, tale inchino produrrà delle reazioni da parte del personaggio: se, ad esempio, il giocatore attiverà il comando in prossimità dei cadaveri di samurai caduti, il personaggio formulerà frasi di ringraziamento per il loro servizio e per aver combattuto “con onore”. La stessa azione attuata sui cadaveri degli abitanti produrrà reazioni di tristezza e di promessa di vendetta da parte del protagonista. Un’altra meccanica che va nella stessa direzione è il fatto che non è possibile per il personaggio uccidere gli NPC: se si prova a ferirli, si avrà l’effetto di un colpo assestato, ma non succederà nient’altro.

Queste due tipologie di dinamica di gioco aiutano a comprendere come Jin si comporti in maniera “onorevole”, rispettando i morti e vendicando gli innocenti, sempre nell’ottica di una retorica mitizzante della figura del samurai.


… alle ideologie moderne


Il lettore potrebbe a questo punto domandarsi quale possa essere la problematica di tale rappresentazione, dopotutto stiamo parlando di un videogioco e non di un manuale di storia del Giappone.

A questo proposito, è opportuno ricordarsi degli studi attuati da Ian Bogost nei Game Studies, che lo hanno portato a elaborare la teoria denominata “retorica procedurale”. Secondo Bogost il gioco, data la sua natura di sistema complesso di parti e comportamenti interconnessi, come il mondo reale, comunica un messaggio sul mondo reale. Nel contenuto che propone dunque, ha la possibilità di comunicare una componente retorica estremamente forte, che ha quindi il risultato di produrre una creazione di senso fortemente significativa per il giocatore a livello emotivo [2].

In altre parole, se le storie creano il mondo (come ci insegna il Morpheus di Gaiman), le storie che vengono vissute direttamente amplificano l’apparato ideologico della narrativa.


Retorica procedurale e ideologia nazionale


Nello specifico caso di Ghost of Tsushima, le ideologie presenti nella narrazione sono una parte di un più ampio insieme di rappresentazioni riferite alle caratteristiche positive del Giappone adoperate dalla stessa industria culturale del paese, solitamente definite con l’appellativo di “Cool Japan”.

Questo termine indica l’insieme di tattiche adottate dalle industrie culturali nipponiche per avere influenza in ambito economico e politico attraverso i media che lo rappresentano come un luogo unico e affascinante [3]. Questa pratica è solitamente un processo operato dalle aziende culturali del paese e promosso dal governo stesso, cui segue una fase in cui sono gli stessi fruitori ad identificarsi con l’immagine di Giappone presentata.

Il Cool Japan si ricollega al più ampio tema del Nihonjinron [4], un termine-ombrello per definire tutti gli studi che riguardano cosa voglia dire “l’essere giapponesi” e la sua “unicità”. In parole povere, tutto quello che ha reso il Giappone “Il Giappone” per i giapponesi e per il resto del mondo, come le immagini dei petali di ciliegio, il sushi o i film dello studio Ghibli.

Se si unisce quest’ultima costruzione dell’apparato culturale del Paese con la ricerca di Bogost sulla retorica procedurale, alcuni avvenimenti sociali legati al successo di Ghost of Tsushima acquistano un significato estremamente più profondo.


Oltre al gioco


Il 7 Settembre 2020, un tifone ha colpito l’isola di Tsushima, provocando la distruzione di un torii (cancello tipico dei templi Shintō) del tempio di Watatsumi, uno dei più importanti dell’isola.

Uno dei membri del tempio, Yuichi Hirayama, ha lanciato una campagna di crowdfunding per la ricostruzione del tempio, con l’obiettivo fissato a 5.000.000 Yen. Grazie alla popolarità del gioco, il crowdfunding è arrivato a 27.000.000 Yen, superando abbondantemente l’obiettivo, grazie alle donazioni da tutto il mondo dei fan di Ghost of Tsushima.

Nel Marzo 2021, il comune dell’isola di Tsushima ha annunciato che il Game director Nate Fox e il direttore creativo Jason Connell sarebbero stati resi ambasciatori del turismo a vita, annunciando allo stesso tempo l’impegno della municipalità di collaborare con Sony a una nuova campagna turistica basata sul gioco.

Il torii del Watatsumi jinja ricostruito grazie al crowdfunding.

Questi due eventi sono ottimi esempi degli effetti del gioco nel mondo reale: da un lato abbiamo l’ingresso di una comunità virtuale e globale che influisce concretamente su un contesto reale e locale. Dall’altro abbiamo un contesto politico locale che non solo affida per la prima volta nella storia il titolo di ambasciatore culturale a persone straniere (di fatto rendendoli ambasciatori nel mondo della cultura dell’isola), ma che ripensa interamente la sua strategia di management in funzione di un videogioco, con lo scopo dichiarato di renderla una meta turistica globale, sfruttando il fenomeno del Game Tourism.


Il Reale della Simulazione


In tal senso vale la pena chiedersi quale sia lo scopo del videogioco “impegnato”, o che perlomeno si pone lo scopo di voler narrare un concetto complesso come l’identità di un popolo in maniera accurata.

Lo stesso Ian Bogost pare essere arrivato a porsi domande simili. Nel saggio “Persuasive Games, a Decade Later” riflette sugli ultimi sviluppi della sua ricerca, sostenendo che il potere persuasivo dei videogiochi si inserisce nell’intero apparato mediatico di riferimento. Questo diventa di fatto un processo di supporto reciproco per ottenere potere sulla rappresentazione del mondo.

Nel caso di Ghost of Tsushima il supporto da parte degli altri media e del governo ha reso un’isola, prima semi-sconosciuta al di fuori degli appassionati di storia e di studi asiatici, un luogo di riferimento per tutti gli appassionati del Giappone e della sua cultura.


Il mondo che è, il mondo che potrebbe essere


Bogost conclude il saggio interrogandosi su come il videogioco possa essere uno strumento di conoscenze complesse partecipando, e anzi alterando, l’apparato dei media che tende a distanziarsi o a distruggere tali conoscenze [5]. Questo significa distanziarsi dalla tendenza a semplificare le situazioni complesse e favorire il racconto di storie che non siano solo rassicuranti conferme di ciò che già si crede, ma interessanti spunti su come il mondo potrebbe essere se lo si immaginasse diversamente.

Per esempio, nel piccolo dell’esperienza personale dei videogiocatori, potrebbe essere una maggiore sensibilizzazione sul valore culturale del videogioco. Questa spesso ancora manca nei grandi bacini di utenza e potrebbe essere un primo passo verso l’abbandono dell’idea che vuole il videogioco come semplice mezzo di intrattenimento di massa. Se si unisce con la consapevolezza del giocatore che la sua voce conta nel dare e richiedere un significato nei videogiochi, potrebbe convincere le grandi major che ai giocatori interessa divertirsi, certo, ma anche arricchire la propria conoscenza del mondo.

[1] Film di ambientazione storica giapponesi, con protagonisti tendenzialmente samurai.

[2] I. BOGOST, Persuasive Games: The Expressive Power of Videogames, Cambridge, MIT Press, 2007, p. 43.

[3] I. CONDRY, “Anime Creativity: Characters and Premises in the Quest for Cool Japan”, Theory Culture Society, 26, 2-3, 2006, pp. 139-140.

[4] Letteralmente “Teorie sul popolo giapponese”.

[5] I. BOGOST, “Procedural Rhetoric…” cit. p. 37.

#INBREVE

Ghost of Tsushima, tra estetica e ideologia

I videogiochi non sono solo giochi, sono messaggi. Ghost of Tsushima ha dimostrato che un videogioco può cambiare il mondo, ma è ancorato a rappresentazioni ideologiche del Giappone. Dobbiamo essere consumatori consapevoli di ciò che vediamo e non cadere vittima delle semplificazioni.

Classe ‘98, Filippo Recaneschi si occupa di Giappone e di videogiochi. Crede nell’informazione e combatte gli stereotipi del Giappone “pop”, analizzando i videogiochi giapponesi con occhio critico.

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