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Akane-Banashi, recensione del volume uno: un tuffo nel mondo del rakugo

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Akane Banashi

Disegnato da Moue Takamasa e scritto da Suenaga Yuki, Akane-Banashi racchiude la filosofia del rakugo in un primo volume avvincente. 

Proseguiamo le recensioni delle uscite targate J-Pop col manga Akane-Banashi, frutto di uno sforzo congiunto tra Moue Takamasa (disegnatore) e Suenaga Yuki (scrittore). I due artisti esordienti hanno già collaborato nella produzione della serie Tatarashido (che in Italia purtroppo non è stato distribuito).

Il manga ha avuto un successo esplosivo, testimoniato non solo dalle numerose candidature ai principali premi giapponesi, ma anche dall’essere stato consigliato dal celeberrimo Hideaki Anno (autore di Neon Genesis Evangelion).

Sarà poco sorprendente, ma, in base all’effetto lasciato dal primo volume, la fama di Akane-Banashi sembra essere del tutto meritata! Vediamo insieme il perché.


Cosa succede nel primo volume


Akane-Banashi si concentra sulla vita di Akane. La ragazza (una bambina nel primo capitolo) è una fan sfegata del padre, Shinta, che all’inizio del volume sta tentando di sfondare nel mondo del rakugo. In questa parte la storia è incentrata sulla figura del talentuoso genitore, che è sul punto di scalare l’ultimo gradino della gerarchia dei rakugoka (declamatori di rakugo).

Akane Banashi

Sorprendentemente e inspiegabilmente, alla fine della prima “scena” (come sono chiamati i capitoli nel manga) la carriera di Shinta raggiunge la sua definitiva fine, tant’è che viene addirittura espulso dalla prestigiosa scuola Arakawa di cui faceva parte. Ci si aspetterebbe che la catastrofica caduta professionale dell’uomo porti la giovane protagonista a odiare il rakugo e il padre.

Ma Akane non è una bambina come le altre: infatti, deciderà di diventare una rakugoka professionista per dimostrare il valore dello stile del decaduto genitore.

Questa grossomodo è la trama del primo capitolo del volume. I successivi sette possono essere divisi in due mini-archi: il debutto informale di Akane nel mondo del rakugo (capitoli 2-5) e l’inizio del suo apprendistato (capitoli 6-7).


Cos’è il rakugo?


Dopo questa rapida panoramica degli avvenimenti raccontati nel tankōbon di debutto, gli altri aspetti fondamentali da analizzare sono lo stile di disegno e le riflessioni filosofiche sul rakugo. Tuttavia, prima di poter analizzare tali aspetti è necessario spiegare per sommi capi cosa sia quest’arte.

Questa forma teatrale ancora poco conosciuta in Occidente è tanto interessante quanto particolare. Lo spettacolo è composto da un lungo monologo svolto da un declamatore (rakugoka) seduto da solo al centro del palco mentre narra una breve storiella divertente. Grazie all’intonazione della voce, alle espressioni del volto, i gesti e a pochi precisi oggetti di scena (un ventaglio e un fazzoletto), il rakugoka interpreta i diversi personaggi della storiella pur essendo da solo.

Ovviamente questa descrizione è largamente riduttiva: infatti, come molte altre arti tradizionali giapponesi, il rakugo è una forma teatrale assai complessa, con norme e consuetudini cariche di un profondo significato. Eppure, per noi occidentali appare interessante già così. L’impressionante maestria dimostrata dagli artisti nel rappresentare le scene più disparate usando il minimo indispensabile è davvero avvincente.

Molti di voi saranno scettici nel leggere questa celebrazione, tuttavia vi assicuriamo che dal vivo è un’esperienza davvero unica se portata avanti da un artista capace. Purtroppo, è davvero difficile trovare in rete delle performance autentiche. Ciò anche perché, come tutto il teatro, è una forma artistica che rende al meglio solo dal vivo.

Tuttavia, vi consigliamo di dare un’occhiata a questo filmato che abbiamo scovato. Vi avvertiamo: l’audio è in giapponese e i sottotitoli in inglese. Al tempo stesso, però, vi assicuriamo che anche senza capire le parole la caratterizzazione dei personaggi fatta dal rakugoka è impressionante.


Lo stile grafico


Ma torniamo alla nostra recensione. Vi starete chiedendo perché sia stato necessario questo preambolo sul rakugo per parlare dello stile di disegno. Passi per le riflessioni, che possono essere collegate alla sua filosofia, ma per il modo di disegnare che c’entra?

Invece, l’aspetto più sorprendente dei disegni di Moue Takamasa è proprio la capacità di riuscire a rappresentare al meglio la natura del rakugo.

Akane Banashi

I tratti decisi nero su bianco riescono non solo a rappresentare le espressioni in tutta la loro forza e colgono alla perfezione lo sconcertante effetto prodotto dal rakugoka che si alterna tra i vari personaggi.

Grazie a numerosi espedenti grafici, il mangaka è riuscito a rendere alla perfezione quanto i gesti dell’artista, durante la performance, riescano a comunicare moltissimo, facendo sì che il suo stesso corpo sembri diventare ciò di cui egli narra.


La filosofia del rakugo


Tuttavia, il primo volume di Akane-Banashi non coglie l’essenza del rakugo solo a livello visivo. Infatti, nelle poche pagine del primo volume incontriamo già uno dei concetti della filosofia di questa forma teatrale: il kibataraki. Esso emerge negli ultimi due capitoli, in cui Akane inizia il proprio apprendistato e riceve la sua prima lezione da rakugoka.

Senza stare a scendere nei particolari di come la ragazza apprenderà questa fondamentale lezione, diamo uno sguardo al concetto di per sé. Il manga stesso descrive il kitabaraki come “sapere adottare misure adatte alla situazione”. Una descrizione sintetica che non sembra avere molto a che fare con il teatro.

Tuttavia, come spesso accade nella filosofia artistica giapponese, questo concetto è legato alla pratica teatrale in modo non immediato. Infatti, grazie allo svilupparsi della storia Akane, e noi con lei, scopre che un rakugoka per prima cosa non deve essere né abile né talentuoso: la cosa più importante è proporre un intrattenimento adatto al proprio pubblico. Così, quando si declama di fronte a un pubblico di anziani si dovrà proporre delle storie, mentre quando lo si fa di fronte a un pubblico di giovani se ne dovranno proporre delle altre.

Avere una tecnica perfetta senza proporre il tipo di contenuto giusto vanifica completamente gli sforzi compiuti. Questo semplice ma pragmatico ragionamento, il cui obiettivo è prendersi cura dello spettatore, è profondamente giapponese e fa emergere l’essenza del rakugo.


Personaggi e ritmo della narrazione


Tornando ad aspetti più narrativi, diamo uno sguardo alla caratterizzazione dei personaggi e allo svolgimento del racconto. In generale il character design è ben riuscito, sia sotto l’aspetto grafico che sotto quello caratteriale: sono tutti ben riconoscibili e differenziati nei modi di fare. La protagonista è la figura che spicca maggiormente (cosa che in teoria dovrebbe essere ovvia ma che spesso non lo è): la sua energia dirompente e la sua forte determinazione la rendono un’ammirevole giovane donna. Lo stesso discorso vale per i principali antagonisti. Fanno la loro prima comparsa già nei primi capitoli ma riescono subito a fare da ottimo contraltare ad Akane.

Akane Banashi

Discorso leggermente meno positivo, invece, per gli alleati della protagonista. Durante il racconto emergeranno vari personaggi che la sosterranno nel suo percorso, tuttavia, i primi che ricoprono tale ruolo, Shiguma e Guriko, risultano un po’ piatti di primo acchito. In particolare, Guriko, primo sempai con cui Akane entrerà in contatto, assume un ruolo poco chiaro e anche a livello caratteriale non è molto definito. Tuttavia, essendo due personaggi che sicuramente saranno molto importanti nella trama, è più che probabile che si delineeranno più chiaramente con il procedere della storia.

Passando alla struttura della narrazione, il racconto scorre liscio e senza intoppi o incoerenze. Gli eventi sono complessivamente incalzanti e densi, con un giusto cliffhanger finale che cha fa venire voglia di avere già in mano il secondo tankōbon. All’interno del volume, però, il racconto ha una progressione che non colpisce particolarmente. Infatti, il primo capitolo parte in quarta, con una forza esplosiva. Al contrario la parte centrale procede in modo più pacato, riprendendo corpo solo negli ultimi capitoli. Per questo, dopo l’inizio spumeggiante, si ha la sensazione che la storia perda lo slancio iniziale. Tuttavia, se teniamo in considerazione la necessità di porre qualche punto fermo per il resto del racconto la cosa sembra più che accettabile.


In conclusione


Il primo volume di Akane-Banashi è davvero promettente. La storia sembra essere decisa e non convenzionale, come la sua protagonista. Lo stile grafico è curato e piacevole, ma soprattutto adatto ai temi trattati. Infine, il volume, nel complesso, dimostra una profonda conoscenza di ciò di cui parla, aspetto per niente scontato.

Una serie adatta a tutti coloro che apprezzano storie con protagoniste determinate, emancipate e ambiziose. Il tutto immerso nella cultura e nella filosofia delle arti tradizionali giapponesi.

Arrivati alla fine, vi lasciamo come al solito con due articoli che potrebbero essere di vostro interesse tra quelli pubblicati sul nostro sito: la nostra recensione di Deaimon: Recipe for Happyness e di Si alza il vento. Due produzioni animate che come questo manga esplorano il mondo del Giappone tradizionale (ognuna a modo suo).

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