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AniKult – Si alza il vento: la poetica dolce e malinconica di Miyazaki

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Un capolavoro dell’animazione che travalica il tempo, ma soprattutto un capolavoro narrativo, distinto da una poetica dolce e malinconica. Si alza il vento di Hayao Miyazaki è la perfetta chiosa di una carriera, anzi di una vita, ricca ed entusiasmante. Un film in cui è riuscito a inserire tutti gli elementi che da sempre hanno caratterizzato le sue produzioni e che regala la mite sensazione di completezza di un uomo che ha deciso di ritirarsi dalle scene. Eppure il dio degli anime, da buon stacanovista giapponese, non aveva finito e oggi parliamo di “Si alza il vento” in attesa dell’uscita del suo ultimo (forse) capolavoro (si spera)

Uscito ormai dieci anni fa (2013), Si alza il vento è ancora nitido nelle menti di tutti gli appassionati di animazione e di cinema in generale. Il grande lavoro fatto dallo Studio Ghibli sulle animazioni, sulla narrazione e, soprattutto, sulla poetica è di un’eleganza e dolcezza che non possono far rimare indifferenti. Questo è ad oggi un capolavoro dell’industria dei sogni animati e possiamo sperare che diventi monito di come sia possibile raccontare una storia in maniera emotivamente dirompente e, con semplicità, renderla poliedrica e immortale.


Cenni storici


“Le vent se lève, il faut tenter de vivre!”

Una frase portante del film, che non ritorna spesso, ma che accompagna discretamente tutta la proiezione. Il vento si alza: è il momento di provare a vivere! Vivere non è dolce, o meglio, non è solo dolce. Nella più banale delle contrapposizioni, la luce non è senza che il buio sia. Entrambi i poli hanno bisogno di esserci per esistere a loro volta e le sfumature che caratterizzano ogni cosa si generano dall’oscillazione tra questi due cardini.

L’espressione arriva da Le Cimetière marin di Paul Valéry, un poemetto del 1920 intriso di riflessioni filosofiche. Questa frase è nota anche per essere l’epigrafe dell’attore Gian Maria Volonté, che potrebbe essere visto come il trait d’union tra la Francia e l’Italia di Giovanni Battista Caproni, personaggio fondamentale della pellicola. Volonté è un uomo che non appare casuale. Figlio di un comandante delle Brigate Nere e degli Anni di Piombo, si concretizza poi come assiduo militante del Partito Comunista; in assonanza col credo politico del regista.

Questa coincidenza – infatti, l’espressione è mutuata direttamente dal romanzo di Tatsuo Hori – contribuisce, perlomeno, a dare maggiore profondità alla frase utilizzata da Miyazaki nel film. Frase che esprime benissimo uno dei concetti portanti della pellicola: la vita è preziosa e va vissuta nonostante tutto. Un messaggio forte, che non dà spazio a complessità, ma trova comunque posto nel cuore di tutti e trasmette la grande umanità di questo autore.

Paul Valéry, Tatsuo Hori, Hayao Miyazaki

Paul Valéry, Tatsuo Hori e Hayao Miyazaki.

Da romanzo, scritto da Tatsuo Hori fra il 1936 e il 1937, a manga scritto e illustrato dallo stesso Miyazaki dal 2009, fino a lungometraggio: giungendo come sua forma completa, una sfera senza imperfezioni. Questo film è così, tondo, compiuto, e difatti è proprio questa la sensazione che ti regala alla fine: un delicato senso di compimento. Una sensazione che deriva chiaramente dal lento ponderare dell’autore prima di arrivare alla pellicola. La storia gli è entrata dentro e lui l’ha restituita con un pezzo di sé.


L’alba del progetto


Il concepimento artistico è spesso controintuitivo. La maggior parte delle volte la nascita di un opera segue percorsi scoscesi. Nell’environment artistico ed editoriale giapponese, questo tipo di percorso presenta una tendenza comune. Capita spesso, infatti, che a decretare la nascita di un manga, sia una figura specifica che occupa il ruolo di co-protagonista in questo processo: l’editor.

In questo caso non parliamo propriamente della figura dell’editor, bensì del produttore – che condivide diverse sfumature con la mansione di editor – la figura discreta ma sempre presente di Toshio Suzuki.

Miyazaki-Takahata-Suzuki

Da sinistra a destra Hayao Miyazaki, Toshio Suzuki e Isao Takahata: i tre volti e le tre menti dello Studio Ghibli.

Fu proprio Suzuki lo sprono che convinse Miyazaki a trasformare quel manga, che lui aveva concepito solo come un diletto personale, nella base per il suo prossimo lungometraggio. In quegli anni il regista era reduce dalla produzione di Ponyo sulla scogliera (vi lasciamo qui il nostro approfondimento), un film pensato fin dal principio per un pubblico molto giovane. Proprio per questo, la stesura dello storyboard di una storia così adulta e profonda che affronta anche il tema della guerra in maniera più pragmatica rispetto ai precedenti film dello studio, lasciò Miyazaki con molti dubbi. Dubbi diradati proprio da Suzuki.

L’alba di questo progetto non fu l’unico momento difficile della produzione. Una volta sciolto il nodo del dubbio Miyazaki dovette fare i conti prima con la sua vecchiaia che lo costrinse a ridurre le sue ore di lavoro dalle solite 14 a 7 giornaliere (che rimangono numeri assurdi, soprattutto per noi occidentali); poi con la mole di lavoro richiesta dalla sua stessa ambizione. Infatti, i campi totali sono tutti estremamente curati, una cura maniacale al punto tale da suggerire al regista di animare ogni personaggio nella scena “singolarmente”, così da infondere desideri e sogni ad ogni figura.

Nessuno dei personaggi, nemmeno le comparse più rapide, fa parte dello sfondo. Ognuno ha proprie storie, difetti, ambizioni e tende verso il proprio destino. Una scelta ambiziosa questa, che però eleva enormemente il potenziale narrativo dell’opera e contribuisce a dare struttura al sottotesto che loda le potenzialità tecniche e creative dell’uomo.


La tecnica leggera dei veterani


Un capolavoro tecnico e narrativo, l’abbiamo detto, ma perché?
Sarà forse l’esperienza di una vita dell’animatore e regista nipponico per eccellenza? D’altronde stiamo parlando di Hayao Miyazaki, ormai una leggenda dell’animazione mondiale.

Si tratta forse della capacità di questo regista di innovarsi, assecondando il progresso del medium animato? È storia recente il suo crescente interesse per l’animazione digitale, raccontato nel documentario Never-Ending Man: Hayao Miyazaki. Magari i colori? La tenue tinta pastello riesce perfettamente a riassumere tanto l’emotività di una storia d’amore discreta, quanto le brutalità della guerra. Forse è la narrazione la ragione di tale successo? Un castello che si sviluppa piano e che incontra un discreto numero di personaggi, tutti pezzi di una storia e, allo stesso tempo, protagonisti della loro.
Sono tutti questi fattori a rendere questo film un capolavoro, ma magari un’interpretazione alternativa potrebbe rispondere meglio alla domanda.


Le capacità umane: creatività e aeronautica


Questo film lascia la strada fantasy già ampiamente battuta dall’autore e percorre le vie più concrete della biografia e dell’autobiografia. Racconta una storia che approfondisce il tema dell’ingegno e della “capacità” umana. La magia, però, non abbandona del tutto le scene, rimanendo uno sfondo sempre presente fatto di piccole coincidenze e destini inesorabilmente connessi.

Metodo e ingegno dell’uomo che lo utilizza, questo uno dei temi di Si alza il vento, tema al quale viene regalata ulteriore profondità dallo stesso, perfetto, metodo utilizzato per il film. Narrazione e animazione, tecniche al servizio dell’opera e, al contempo, meta-protagoniste.

Per tutto il film la curiosità di Jirō Horikoshi, famoso progettista giapponese protagonista dell’opera, è sempre presente: caratteristica che lo contraddistingue e gli permette di esprimere al loro massimo le potenzialità dell’ingegno. Rappresentazione perfetta è l’episodio della lisca di pesce, nella quale Jirō si imbatte durante i pasti dopo il lavoro, la cui curva si tramuta da fascinazione personale in ispirazione lavorativa. Qui si traccia uno dei parallelismi con l’autore che, allo stesso modo di Jirō, si concentra quasi ossessivamente su un progetto con fervore e trasporto, sfruttando la sua curiosità come motore.

Jiro e la lisca di pesce

Jirō intento ad osservare curiosamente la perfetta curva di una lisca di pesce.

In un’intervista con IndiWire, parlando del rapporto fra se stesso e Jirō, una volta Miyazaki disse:

La somiglianza potrebbe essere che quando lavoriamo sodo su qualcosa, ci concentriamo solo su quello, sono fatto così. […]

In questa piccola opera d’arte la tecnica non è solo utilizzata per stupire ma anche per stupirsi e divertire. L’animo leggero e giocoso di Miyazaki si fonde con la sua dedizione al lavoro, generando una trovata geniale. La cura dedicata dall’autore e da tutto il team alla ricerca, descrizione e rappresentazione degli aerei protagonisti, forse non è sembrata sufficiente a caratterizzare e a dare un’anima a questi capolavori meccanici.

Entra in gioco, quindi, l’idea di soffiare dolcemente la vita all’interno degli aerei attraverso gli effetti sonori, interamente prodotti da rumoristi. Gli aerei divengono così, non più dei mezzi al servizio delle mire umane, bensì degli esseri viventi, magari senzienti, il cui unico desiderio è quello trasmesso loro dai progettisti: volare. In quest’ottica la guerra non è più solo affronto alla vita umana ma anche alla natura degli aerei costretti a viverla.

Non solo gli aerei e i totali, come dicevamo nel paragrafo introduttivo, sono stati interessati da cura maniacale. Tutti gli elementi a corredo della storia e che permettono il formarsi dell’indispensabile sospensione dell’incredulità, sono estremamente studiati. A partire dagli abiti indossati dai personaggi che, assieme ai panorami, si evolvono durante tutto il racconto adattandosi al cambio delle epoche e restituendo benissimo la contaminazione occidentale di quel periodo.

Questa cura appare, a volte, nascosta ad una prima visione o ad una lettura superficiale dell’opera. Esemplificativa è, in questo caso, la forte presenza di personaggi fumatori. Anche nell’epoca contemporanea il Giappone vanta un consumo di tabacco molto elevato, una tendenza che è andata diminuendo col tempo e che trova la sua origine proprio negli anni 20′ e 30′. Durante questo periodo il tabagismo era un costume diffuso soprattutto fra gli studenti: classe rappresentata proprio da Jirō e dall’amico e collega Kirō Honjō (altro nome importante dell’aviazione nipponica).

Per rendere chiara e tangibile la tecnica sopraffina utilizzata dallo studio è necessario citare almeno due scene che lasciano un impatto fortissimo sullo spettatore.

La prima è la scena che rappresenta il terremoto del Kantō, incontro fra comparto tecnico e accuratezza storica, avvenuto nel 1923. Questo evento, che fa anche da sfondo al primo incontro fra Jirō e Nahoko Satomi, la stupenda protagonista femminile del film, viene raffigurato con una potenza tale da far trasalire lo spettatore in sincronia con le onde della terra. Il tipico boato viene sostituito da un flebile, e al contempo raccapricciante, sospiro che anticipa e accompagna la magnifica scena della frattura e le onde successive che faranno sobbalzare il treno degli innamorati e accapponare la vostra pelle.

Terremoto

Scena successiva al terremoto del Kantō.

L’altra scena che vogliamo citarvi è quella che avviene sulle ali del Caproni Ca.48. Siamo nel sogno del protagonista, che si ritrova per la prima volta a parlare con il progettista italiano Caproni. Mentre navigano nell’aria dolce del sogno, Jirō rivolge una domanda al suo mentore onirico: «Gli aeroplani si possono progettare anche se si è miopi? Io in quanto miope gli aeroplani non li posso pilotare…». La risposta di Caproni arriva subito, semplicemente, ma in maniera estremamente potente: «Io gli aeroplani non li piloto affatto, anzi non so farlo! […] Io sono un uomo che gli aeroplani li crea!». La scena comincia a vorticare sempre più velocemente attorno al perno creato dagli sguardi dei due e si avverte una fortissima tensione positiva.

Caproni e Jirō sull'erba

Caproni e Jirō durante il primo sogno del protagonista.

Infine il progettista aggiunge: «Gli aeroplani sono uno splendido sogno!». Qui la tensione accumulata nella scena precedente viene rilasciata tutta assieme e gli occhi di Caproni si fanno grandi e brillanti, mimando quelli di Jirō e riempiendosi di quella scintilla creativa irreplicabile che però Miyazaki riesce a rappresentare con maestria.

In ultimo, ma non per importanza, va citata la musica. I film dello studio di Miyazaki e Takahata sono noti per le stupende colonne sonore e Si alza il vento non fa eccezione. Questa rappresenta la decima collaborazione di Joe Hisaishi con Miyazaki e riesce a condensare, nelle diverse soundtrack, la pacatezza dei protagonisti e il loro affetto sincero, accompagnando dolcemente le ambientazioni rurali e cittadine. Inorgoglisce, inoltre, ritrovare delle forti influenze italiane nelle tracce, riuscendo con pochi strumenti e note a restituire quelle sensazioni a noi tanto familiari.

Una delle meglio riuscite, a nostro parere, è KAMI HIKOUKI – 纸 飞行 机, la soundtrack che accompagna la scena dell’aereoplanino di carta che Jirō e Nahoko si scambiano da lontano, unico filo che li tiene uniti durante l’inizio della loro conoscenza. Qui la musica diventa anche effetto sonoro, mimando le espressioni, le movenze e le azioni dei due personaggi, contribuendo alla narrazione e alla tensione delle scene.

A questo punto torniamo alla domanda iniziale, come mai questo film è un capolavoro? Possiamo dire con certezza che la tecnica magistrale con la quale è stato prodotto sia una delle ragioni fondanti, ma forse non è la tecnica in sé, quanto piuttosto, la sua apparente assenza. Il metodo di Miyazaki è leggero, non è sfarzoso, non è arrogante, si mette al completo servizio dello spettatore e lo accompagna dolcemente e discretamente.


Perfetta sintesi di una poetica delicata e profonda


La poetica di Miyazaki è contraddistinta da alcuni temi principali, pochi ma sviscerati perfettamente e resi con una semplicità disarmante. L’odio per la guerra e l’ovvio amore per la pace, maturato da un credo politico che affonda nella tradizione marxista. La fascinazione per la natura e l’impegno sociale, ma anche di pancia, contro l’inquinamento. Il categorico rigetto di ogni forma di totalitarismo e la ricerca di un ideale libertario che possa, nel modo più semplice possibile, permettere a chiunque di avere un sogno e di poterlo perseguire. Questi a grandi linee i temi principali, sempre accompagnati da fiumi di sottotesti narrativi, fra odi alla seduzione, all’amicizia e alla sana rivalità.

Guerra

Jirō che sale una collina circondato dai suoi Zero ormai distrutti.

Forse è il caso di dare un po’ di spazio anche al protagonista muto dell’opera: il vento. Colui che fa incrociare gli sguardi dei protagonisti, fa vibrare le ali degli aerei e le spezza se non viene domato, scuote alberi ed edifici seguendo il ruggito della terra e diventa gioco e meraviglia nella vita di due innamorati. Il vento diviene elemento creatore e distruttore, che si muove spesso libero e incontrollato e riesce a essere piegato solo dall’ingegno o dall’affetto. L’elemento naturale più dolce e al contempo potente, quello che meglio si adatta ad accompagnare la narrazione di questa storia d’amore così toccante, altra faccia del film. Storia che abbiamo volutamente deciso di trattare marginalmente così da permetterle di regalarvi tutte le emozioni che è capace di veicolare.

uscendo dal bosco

Jirō  e Nahoko tornano verso casa dopo aver incontrato un temporale.

In questo film il regista trova spazio per approfondire una tematica rimasta un po’ in sordina nelle precedenti produzioni: la forza creativa dell’uomo. Come abbiamo già detto, questo film è un tripudio di tecniche narrative e registiche al servizio di un racconto che ama profondamente le capacità ingegneristiche dei progettisti aeronautici e che eleva il loro metodo a matrice di sogni d’infanzia.

Questa meta-narrazione della tecnica traccia profondi parallelismi fra il cineasta ed i progettisti Jirō e Caproni. Due figure che appaiono come le rappresentazioni, rispettivamente giovanile e senile di Miyazaki. Jirō, il giovane uomo alla ricerca della perfetta mescolanza di tecniche per raggiungere la perfezione nel suo lavoro. Caproni, il progettista navigato che non pensa più al risultato e comincia a indagare le fondamenta etiche del suo lavoro, introducendo uno dei quesiti più sfidanti del film.

Difatti è proprio un dialogo di Caproni che introduce un ulteriore tema. Questa volta la scena si svolge sulle ali del Caproni Ca.90, un enorme bombardiere. Il progettista italiano pone un quesito a Jirō: «Tu, tra un mondo con le piramidi e un mondo senza piramidi, quale dei due preferisci?» poi aggiunge, «Io scelgo le piramidi!». Questa potrebbe essere interpretata come la risposta al quesito che l’autore stesso si è dato, allo stesso modo del discorso di pensionamento di Miyazaki, veicolato sempre da Caproni.

Così come le piramidi hanno avuto il prezzo di centinaia di vite umane, la nascita della meraviglia tecnica degli aeroplani è giustificata solo dal loro uso in guerra. Di conseguenza, il dubbio di Caproni può essere riassunto così: sapendo che il tuo ingegno e lavoro sarà fautore di atrocità, deciderai di esimerti e ritirarti per sottrarlo a tali scopi criminali o comunque di costruire, inventare e quindi deciderai di vivere?

Cielo

Jirō guarda il cielo solcato dai prototipi dei suoi Zero.

“Le vent se lève, il faut tenter de vivre!”

Una domanda paradossale alla quale non c’è una risposta certa. Ognuno di noi dovrebbe avere la possibilità di indagarsi intimamente. Lo stesso Jirō non dà una risposta a Caproni, rimanendo fedele all’immagine di un Miyazaki giovane e acerbo. Difatti l’arte non è matrice di risposte quanto più di domande e quando riesce a instillare il seme del dubbio e del ragionamento nei suoi fruitori, può dire di aver adempiuto ai suoi doveri.

Voi da che parte state? O, per citare il titolo scartato del prossimo film miyazakiano, E voi come vivrete?” in un mondo con le piramidi o in un mondo privo di queste?

#INBREVE

Si alza il vento

Un’opera senza imperfezioni che riesce tanto a far sognare quanto ragionare. Il testamento artistico di un pilastro dell’animazione che, forse, potrebbe non rimanere tale dopo l’uscita del suo prossimo lungometraggio. Poco importa. Il core di questo racconto dalle tinte dolci e discrete, ma anche taglienti e sfidanti, non smetterà mai di incantare tanto i grandi quanto i piccini.

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