Blue Lock, recensione sull’anime sportivo più psicologico di sempre

L’anime di Blue Lock dello studio 8-Bit combina azione, psicologia e cultura sportiva: un vademecum per raggiungere qualsiasi risultato.

Diretta da Tetsuaki Watanabe e prodotta dallo studio 8-Bit, la prima stagione di Blue Lock copre i primi 94 capitoli (per un totale di undici volumi) dell’omonimo manga shōnen scritto da Muneyuki Kaneshiro e disegnato da Yusuke Nomura. I ventiquattro episodi di cui è composta sono stati pubblicati su Crunchyroll dall’8 ottobre 2022 al 25 marzo 2023.

La storia, vincitrice del 45º Kodansha Manga Award nel formato cartaceo, riesce a combinare la giusta dose di azione, psicologia e riferimenti alla cultura calcistica (giapponese e non), il tutto attraverso una tensione di fondo che difficilmente riscontriamo negli anime sportivi – al riguardo, non sorprende che Rebecca Silverman di Anime News Network utilizzi il termine “sport distopico“, né tanto meno che Hajime Isayama, autore de L’attacco dei giganti, abbia consigliato Blue Lock in concomitanza con l’uscita del 33° volume.

Ma lo staff dell’anime non si esaurisce certo nella figura di Watanabe: basti pensare a Shunsuke Ishikawa (assistente alla regia), Taku Kishimoto (supervisore di sceneggiatura), Marasu Shindō (character designer), Hisashi Tojima (direttore delle scene di azione) e Jun Murayama (compositore musicale), il quale ci ha regalato brani spettacolari come BACHIRAEGO Farewell to KAIBUTSU.

La seconda stagione è già stata annunciata, così come il film che adatterà il manga spin-off Blue Lock: Episode Nagi. Nell’attesa di assistere alle prossime imprese di Yoichi Isagi e gli altri personaggi, ecco la recensione dell’anime sportivo più psicologico di sempre!


Egoismo sfrenato


L’unione fa la forza, o chi fa da sé fa per tre?

È questo il dilemma che sorge già nei primi minuti di visione, con il protagonista Isagi che, scegliendo di passare la palla invece di tirare in porta, decreta la sconfitta della propria squadra. Viene poi introdotto nel prestigioso progetto Blue Lock, progettato da Jinpachi Ego allo scopo di creare l’attaccante più forte del globo che poterà il Giappone a vincere la Coppa del Mondo.

«Piuttosto che vincere 1 a 0 facendo un assist a un compagno» afferma Ego, citando le parole del giocatore fittizio Noel Noa, «preferisco perdere 3 a 4 dopo aver segnato io una tripletta.» Nonostante riconosca che un ragionamento simile sia «decisamente sbagliato», Isagi decide prontamente di partecipare al progetto, così come tutti gli altri personaggi – insomma, niente a che vedere con lo scarno arruolamento dell’Armata Ricognitiva ne L’attacco dei giganti… «Dimentica la tua mentalità comune» continua il creatore del Blue Lock. «Sul campo sei tu il protagonista. Considera i tuoi gol la gioia più grande e vivi soltanto per quell’istante! Questo significa essere un attaccante, no?»

Isagi Yoichi in Blue Lock

Ne deriva un “gioco” spietato, inumano, con il protagonista che realizza fin da subito la propria debolezza attraverso gli asettici numeri con cui vengono classificati i singoli partecipanti. Non sorprende che le varie prove ripercorrano, in piccola scala, l’approccio verso il calcio dall’infanzia alla vita adulta – a testimoniare come lo sport simboleggi il processo di “imposizione” nella vita, – né tanto meno la forte componente bellica: «Come vi siete sentiti a lottare disperatamente per la prima volta nella vita?» continua l’immancabile Ego. «Avete avuto paura? Vi siete eccitati. Avete pensato: “Evviva, io sono sopravvissuto!“, no? Quella sensazione si chiama vittoria. Stampatela bene nella mente». Ecco perché, almeno nelle prime fasi del racconto, trovarsi in una posizione subalterna spinge i personaggi a dare il meglio di se stessi – peccato che una dinamica del genere cada spesso nella prevedibilità assoluta: se una squadra segna il primo goal, allora perderà la partita, e viceversa.

Al contempo, Isagi afferma che sarà lui a «sopravvivere», fino a parlare addirittura di «arma», mentre per Rin Itoshi la competizione equivale a «uccidersi a vicenda», perché «Questo è un campo di battaglia. In questo momento state dando le spalle a dei soldati armati». Insomma, il concetto è chiaro: «Nel calcio, perdere è come farsi rubare la propria ragione di vita. In altre parole, è come morire». In effetti, i vantaggi del Blue Lock sono compensati da una clausola ben più negativa: chi perde all’interno della struttura non potrà mai far parte della nazionale giapponese; anche se la serie, forse, avrebbe potuto motivare maggiormente lo svolgimento di una dinamica simile, così da non danneggiare il conflitto interno.

Altrettanto funzionale alle regole spietate è che i personaggi finiscano con l’odiare tutti gli altri, additandoli non più come leali giocatori, bensì come antagonisti da distruggere. Le offese personali sono davvero ricorrenti all’interno della storia (“mister mediocre”, “seccatura”, “lumaca”), e il più delle volte risultano così oltraggiose da riferirsi a dettagli fisici dell’avversario – basti pensare ad appellativi come “frangetta”, “signorina”, “stupido quattrocchi”, “fratelli strambi chiacchieroni”. Ma altrettanto cinismo è indirizzato a se stessi: “Il me di quel periodo non mi serve più” riflette Isagi, sempre impegnato nel ristrutturarsi per ottenere una nuova versione mentale e fisica. Forse l’anime avrebbe potuto sfruttare un momento di ammonizione per dimostrare come i giocatori non debbano sempre e comunque protestare, come invece accade tristemente in ogni partita a cui assistiamo in televisione… eppure ha scelto di allinearsi con la sconfortante, egoistica realtà dei fatti.

Ryosuke arrabbiato Blue Lock

A compensare una visione tanto “individualistica” ci pensa la seconda parte della storia, in cui appare evidente che i giocatori necessitano dell’aiuto del prossimo – anche per splendere egoisticamente. In tal senso concorrono anche il simbolo stesso del Blue Lock (un’unità formata da sezioni adiacenti) e i Tempi supplementari, brevi sketch comici al termine di ciascun episodio in cui i personaggi manifestano uno spiccato affetto reciproco.


Un pallone “squadrato”


Tra tutti i titoli di anime, manga e light novel, Blue Lock è sicuramente tra i più geniali.

Oltre al rapporto tra individualismo e altruismo di cui parlavamo nella sezione precedenti, le due semplici parole veicolano quattro significati aggiuntivi. In primo luogo, la ricorrenza del colore blu, più psicologico, più introspettivo dell’inflazionato rosso in ambito sportivo, ma altresì perfetto per evidenziare come la sconfitta sia sempre dietro l’angolo: secondo una ricerca scientifica della rivista New Scientist, infatti, vestirsi di rosso aumenta notevolmente le chance di vittoria; in secondo luogo, il concetto di “chiusura”, ossia la necessità di rifugiarsi in un ambiente artificiale per concentrarsi su se stessi: non sorprende che l’allontanamento dalla natura sia elaborato con nostalgia nello splendido brano di chiusura Numbness like a ginger. In terzo luogo, il simbolo di una palla non più rotonda, bensì spigolosa, testimonia il passaggio da una visione del calcio estroversa ed euforica a un’altra introversa e disforica – perfettamente in linea con l’ambiente asettico della struttura. In quarto luogo, le geometrie spigolose suggeriscono la centralità di schermi, computer e altri dispositivi tecnologici all’interno del progetto.

L'edificio del Blue Lock

I giocatori stessi assumono un’estetica dark e asettica: basti pensare agli spersonalizzanti numeri con i quali vengono classificati, oppure all’abbigliamento stesso, il quale, oltre ad avere decorazioni simili a “catene”, fa assomigliare Yoichi Isagi, Meguru Bachira e gli altri personaggi a degli account virtuali. Senza contare formule matematiche, reazioni chimiche, puzzle, e bug informatici – peccato che a risentirne sia l’eterogeneità del racconto… Chiusi nel Blue Lock, i partecipanti devono quindi analizzare la propria interiorità alla ricerca dei peculiari punti di forza: non sorprende che Itoshi Rin si avvali della meditazione, né tantomeno che il protagonista riconosca spesso una motivazione perfino subconscia nelle sue sconfitte. Ecco perché l’anime dello studio 8-Bit rappresenta un ottimo vademecum per imparare a vincere non soltanto nel calcio, bensì in ogni ambito.

Purtroppo, però, i calciatori si perdono spesso in chiacchiere, al punto di distruggere ogni tentativo di verosimiglianza. Non è raro che, nel minuto finale di una partita o in una singola frazione di secondo, i personaggi riescano a parlare per svariati minuti, mentre frasi come «Sicuramente la passerà a Nagi!» spingono lo spettatore a chiedersi perché l’avversario non agisca di conseguenza. Ma soprattutto… dove trovano tutto quel fiato? Similmente, l’attività cerebrale appare eccessiva: a volte basta sforzarsi fisicamente, senza ragionarci troppo… e un ragionamento di questo tipo viene veicolato (almeno in parte) nell’episodio 9, Risveglio. Approfondiremo l’argomento nella prossima sezione.

Tuttavia, il personaggio che meglio rappresenta l’asetticità del racconto è Jinpachi Ego. Ideatore del progetto Blue Lock, motiva le sue “creature” con discorsi freddi e disincantati, tratta male le donne, ha l’aspetto simile a quello di un robot e, dulcis in fundo, manga il cibo più spazzatura che possa esistere. Senza contare i messaggi in codice estrapolabili dalle sue iconici frasi. Resta però da chiedersi come faccia a interagire durante ogni singola videochiamata: ripete le stesse cose in ogni stanza della struttura? Inoltre, un rapporto tanto diretto va contro l’asetticità su cui l’anime insiste fin dal primo episodio.

Ego Jinpachi in Blue Lock


Cultura calcistica (giapponese e non)


Sapientemente, Blue Lock sceglie di concentrarsi non soltanto sul mero gioco del calcio, ma anche sullo scenario politico, economico e sociale che ruota intorno a esso, così da restituirci la visione più ampia possibile sull’argomento.

Dopo l’entusiastica spiegazione di Ego sul progetto Blue Lock, questa è la risposta di Hirotoshi Buratsuta, presidente della Nazionale di calcio del Giappone: «Finché ci guadagniamo, che problema c’è? In fin dei conti il calcio è business». I soldi hanno da sempre rivestito un ruolo centrale (ed eccessivo) nel calcio, e i numerosi elogi, confort e cibi raffinati che vengono offerti ai vincitori della struttura ripercorrono, in piccola scala, la posizione privilegiata di cui beneficiano molti giocatori. A volte il benessere diventa così eccessivo da farli adagiare sugli allori; e in tal senso contribuisce il Blue Lock stesso, un ambiente spietato nel quale ogni negligenza può risultare fatale.

La federazione calcistica giapponese in Blue Lock

L’anime coglie l’occasione anche per denunciare la disparità di genere – le donne vengono additate come stupide casalinghe, senza alcuna possibilità “sfondare” nell’industria – e le regole del mercato: i giocatori, dopo aver cambiato squadra, si ritrovano ad empatizzare con i precedenti avversari da un lato, a rivaleggiare con i precedenti alleati (o addirittura amici) dall’altro, e il Blue Lock non mancherà di insistere sulla dinamica.

Ovviamente, al centro del mirino vi è il Giappone. La debolezza della Nazionale del Sol Levante (eliminato dal Belgio nei Mondiali del 2018) è a dir poco allarmante, soprattutto se paragonata alle squadre e ai giocatori del resto del mondo: Brasile, Inghilterra, Francia; ma anche Cristiano Ronaldo, Lionel Messi, Pelé – con nostro rammarico, l’Italia non viene menzionata neanche una volta. Ego prova a razionalizzare la tendenza, fino a giustificarla sulla base della psicologia più profonda del popolazione giapponese; ed è sorprendente quanto la serie riesca a psicanalizzare una Nazione senza tirare in ballo dirigenti, acquisizioni, quote di mercato altri fattori superficiali che siamo stanchi di ascoltare.

Se, da un lato, il Giappone non riesce a sfondare nello sport, dall’altro sappiamo tutti quanto sia eccelso in altri ambiti: basti pensare all’arte, con Shoei Baro che, in una battuta metanarrativa, ricorda di poter guardare una puntata di una serie tv o due di un anime durante una sessione di allenamento – tra l’altro, come è possibile non rivedere nello scontro tra Seishiro Nagi e Meguru Bachira quello tra Ken Kaneki e Juuzou Suzuya di Tokyo Goul?, non ha dell’incredibile come le espressioni di Yoichi Isagi ricordino quelle di Eren Jaeger ne L’attacco dei giganti?

Bachira e Nagi nella seconda selezione del Blue Lock

L’anime avrebbe dovuto sfruttare il fattore psicologico per riqualificare la Nazionale del Sol Levante, ma sortisce l’effetto opposto: testimoniare tutta l’impreparazione calcistica del Giappone. È un popolo troppo artisticamente intelligente per vincere in questo ambito, perché lo sport in generale, così basato sull’ego – a proposito di Blue Lock, – richiede caratteristiche che hanno ben poco a che spartire col talento narrativo, figurativo e tecnologico. Per concludere, questo è il paradossale messaggio che possiamo trarre dall’anime in questione: il Giappone (quello vero) non sfonderà nel calcio.

In chiusura, vi lasciamo ad alcuni interessanti approfondimenti, come la nostra recensione del manga di Takopi’s Original Sin e la nostra recensione dell’anime di Spy x Family.

4

#INBREVE

Blue Lock è non soltanto un’ottima storia, ma anche un vademecum per imparare a vincere in ogni ambito, soprattutto considerando la visione “bellica” che ci viene fornita del calcio. Tra atmosfere asettiche, psicoanalisi e riferimenti alla cultura sportiva (giapponese e non), la visione dell’anime 8-Bit è a trecentosessanta gradi; peccato per alcuni elementi che ne riducono la verosimiglianza, pur senza prevalere sui numerosi punti di forza.

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