Shadows House Stagione 2, recensione: ritorno a Villa Shadow
Dopo il primo ciclo di episodi uscito nel 2021, è disponibile su Crunchyroll la seconda stagione dell’anime di CloverWorks che adatta il raffinato manga delle mangaka del duo Somato.
Nel vasto panorama di anime che hanno impreziosito il palinsesto di Crunchyroll nel 2022, un posto d’onore è stato occupato dalla seconda stagione di Shadows House. Il progetto animato che adatta lo splendido manga di Somato – pseudonimo dietro cui cela il duo di mangaka Nori e Hishi, conosciute per le loro opere al tempo stesso inquietanti e dall’indiscutibile fascino gotico come Kuro e Parasite Girl Sana – aveva convinto il pubblico nel corso del suo primo ciclo di episodi, al netto di un finale discusso e criticato dai fan dell’opera cartacea per una divergenza piuttosto netta della storia. Dopo l’annuncio del rinnovo per una seconda stagione, arrivato alla fine del 2021, finalmente abbiamo potuto ritrovare le nostre eroine Emilico e Kate, alle prese con nuovi intrighi per provare a svelare la verità che si cela dietro ai misteri di Villa Shadow, e sventare i malvagi piani dell’Illustre Nonno e dei suoi seguaci-ombra. CloverWorks sarà riuscita a rispettare le aspettative del pubblico dopo l’enorme successo di My Dress Up Darling e, in seguito, di Spy x Family? O le problematiche del finale controverso della prima serie di episodi hanno irrimediabilmente compromesso l’adattamento animato del capolavoro di Somato? Scopriamolo insieme.
Vecchi dissapori
La storia della seconda stagione di Shadows House riprende esattamente da dove si era interrotta con il suo tredicesimo episodio. Kate, grazie all’aiuto di John e del suo volto Shaun, era riuscita a salvare Emilico, finita tra le grinfie di un sempre più pericoloso Edward, scampando il pericolo di essere “gettata” da Villa Shadow, impedendo così alla malvagia ombra di venire promossa al terzo piano della casa.
Grazie all’impresa delle amate protagoniste, la situazione nell’ala dei bambini è ora cambiata completamente: Kate è passata da possibile minaccia a valida risorsa per gli adulti, lasciandole così la libertà di portare avanti il suo piano di svelare a tutta l’ignara famiglia Shadow i misteri che si celano dietro la “creazione” delle bambole per le ombre.
A complicare le indagini della giovane nobile, una nuova minaccia sembra pronta a far piombare la villa nel caos. Durante una delle sue ronde notturne, Barbara e il suo volto Barbie vengono attaccate da una misteriosa figura avvolta in un mantello, la quale – agendo indisturbata e sparendo senza lasciare traccia di sé – inizia a rappresentare una minaccia alla sicurezza dei bambini. La figura col mantello, unita a un insolito aumento di mostri di fuliggine, costringerà Kate, Emilico e i loro amici a unire le forze per evitare il peggio.
La narrazione magnetica di Shadows House rimane il suo miglior punto di forza, anche nel corso della sua seconda iterazione. La trama alterna momenti più lenti – dove l’orizzontalità della sceneggiatura permette allo spettatore di esplorare la psicologia dei personaggi – a inaspettati colpi di scena che cambiano i rapporti di forza tra gli abitanti della villa e la percezione che il pubblico ha nei loro confronti. È proprio il preciso studio dei personaggi e delle loro interazioni l’elemento più vivo dell’opera, che compie una graduale decostruzione della moralità degli abitanti di Villa Shadow. Il confine tra bene e male si assottiglia sempre di più, e vedendo la seconda stagione della serie è impossibile non domandarsi quali siano le qualità più importanti dell’essere umano. Lealtà e fedeltà, giustizia e ordine: esiste una linea di demarcazione netta tra quelle che sembrano essere delle semplici sfumature di medesimi concetti, ma che invece rappresentano i fondamentali valori che determinano l’oscillare della bussola morale umana?
Per rispondere a tali quesiti, Shadows House decide di lasciare spazio ai due personaggi che meglio incarnano il concetto di “facce diverse della stessa medaglia”, ovvero Barbara e Maryrose, protagoniste assolute della seconda stagione.
Chi scappa per sopravvivere…
Infatti, tramite una tecnica narrativa sicuramente non innovativa ma efficace, Kate ed Emilico, i personaggi principali della serie, vengono “declassate” alla posizione di narratrici delle vicende di Villa Shadow, diventando l’occhio dello spettatore più che il fulcro della trama, ma svolgendo comunque il ruolo fondamentale di collante delle vicende, per riprendersi successivamente la posizione principale solo con il procedere delle puntate. La storia diventa di conseguenza più corale, e personaggi come Louise e John, prima limitati a comprimari delle due giovani protagoniste, ottengono sempre più spazio nel corso della stagione.
È tuttavia evidente che la sceneggiatura abbia insistito particolarmente sulla dicotomia tra le due ragazze più “adulte” dell’area dei bambini, tra la portatrice della Stella Barbara, servile ma fredda e distaccata, e la caposquadra Maryrose, dolce e comprensiva ma determinata. La trama verticale del secondo ciclo di episodi ruota tutta intorno a quanto il rapporto tra le due (ormai) ex amiche abbia irrimediabilmente compromesso la relazione di fiducia tra le due ali della villa. La scoperta della spaventosa verità dietro la nascita delle ombre e su come vengono create le “bambole” non può che aprire una ferita incurabile nell’animo di Maryrose, ma la pone altresì di fronte a una scelta cruciale: coinvolgere altre persone e metterle in pericolo, o provare da sola a sconfiggere il male della casa (o, quantomeno, fuggire per sopravvivere al maligno controllo dell’Illustre Nonno). La parabola discendente delle nemiche/amiche ombre mostra quanto siano fragili i legami umani, seppur forti e duraturi, di fronte alla tragedia e al lutto. A provocare una spaccatura tra Barbara e Maryrose è infatti stato un evento drammatico che ha successivamente portato alla loro separazione, e un enorme segreto che la giovane caposquadra porta con sé rende un ipotetico ricongiungimento quanto mai impossibile. La stratificata storia delle due compagne viene ancor di più rafforzata dalla scelta consapevole di non rivelare mai l’entità del loro rapporto, ed è ragionevole chiedersi se Maryrose e Barbara fossero ben più che semplici amiche. La questione è stata abilmente lasciata in sospeso da Nori e Hishi nel manga, e l’adattamento animato porta avanti la questione con la stessa delicata e voluta incertezza. Ciò non può non rinforzare l’idea che Shadows House riesca a dare il meglio di sé proprio nella maniacale esplorazione della complessa psicologia degli abitanti della casa, i quali sono costretti a subire un costante indottrinamento per volere dell’Illustre Nonno, e possono reagire solamente in due modi alle pressioni esterne: piegarsi al volere degli adulti o resistere, a costo di un’enorme sofferenza per i metodi poco ortodossi adottati dai servitori della Villla per tenere sotto controllo i “ribelli”.
È impossibile non empatizzare con la maggior parte dei personaggi per tutto l’arco della storia, in quanto ognuno ha le proprie ragioni per provare a resistere o meno, ed è proprio il dubbio morale che la serie instilla a guidare lo spettatore verso la comprensione persino della disperazione alla base del comportamento dei “cattivi”, vittime tanto quanto lo sono i protagonisti dei soprusi della ristretta cerchia dell’Illustre Nonno. Tra le gemelle Belle, Mia, Susanna, Oliver e Patrick, nessuno è al sicuro dai pericoli che nasconde la Villa.
Inoltre, la serie animata sembra voler porre costantemente l’accento sui rapporti tra le ombre stesse. Se nella prima stagione lo show si era concentrato su una riflessione sulla relazione intima e distorta che si crea tra un’ombra e il suo volto, il secondo ciclo di episodi vuole “umanizzare” le ombre stesse, avvicinandole alle bambole umane di cui si servono, per dimostrare che i nobili della villa e i loro servitori non solo hanno lo stesso aspetto, ma provano esattamente lo stesso spettro di emozioni, quali affetto, amore, paura e tristezza.
La drammatica storia delle ombre che si celano dietro ai volti di Barbie e Rosemary permette a Kate di comprendere quanto la strada che ha deciso di intraprendere sia intricata e dolorosa e che, prima o poi, verrà anche per lei il momento di compiere delle scelte.
Con uno sforzo narrativo notevole, CloverWorks riesce nella non semplice impresa di ricucire la divergenza evidente del finale della prima stagione rispetto ai capitoli del manga, e – al di là di alcune incertezze negli episodi iniziali – mostra al pubblico una trama sempre più intrigante, emotiva e commovente, proponendo un alternarsi ben dosato di momenti nei quali i protagonisti indagano per risolvere il mistero della figura col mantello, più statici e riflessivi, e scene d’azione e combattimento movimentate, ma mai caotiche o dispersive. Qualche piccolo problema di ritmo porta la storia a soffrire di una divisione eccessivamente netta in due parti, senza che risulti tuttavia particolarmente indigesta. Nella prima metà la trama ha uno sviluppo diluito e senza grossi stravolgimenti, mentre dal midseason fino alla conclusione gli eventi si susseguono repentini e avvincenti, rendendo l’intreccio forse stancante per un pubblico più abituato a prodotti dove il tempo della storia e quello del racconto coincidono. Tuttavia, il risultato finale è più che soddisfacente, ed è impossibile non restare col fiato sospeso nelle battute finali della stagione per il destino dei suoi protagonisti. Non mancano scene più distese e dall’impianto comedy, ma rispetto alla prima serie di episodi essi appaiono meglio amalgamate e integrate all’interno della trama, senza sembrare forzate o poco sensate.
Inoltre, la conclusione aperta è di buon auspicio per una futura terza stagione, sebbene al momento non sia ancora stata annunciata; una scelta consapevole, e che si pone in antitesi con la prima stagione, facendoci capire come CloverWorks abbia imparato la lezione e voglia investire seriamente in quello che, a tutti gli effetti, può essere considerato uno dei suoi franchise di punta. Dopo gli enormi problemi di adattamento incontrati con The Promised Neverland non era scontato, ma lo studio di Tokyo ha saputo dimostrarsi all’altezza della sua fama.
… e chi resta per combattere
Dal punto di vista tecnico, Shadows House si dimostra ancora una volta un piccolo gioiello. Il character design, affidato alle sapienti mani di Chizuko Kusakabe, trasmette tutto il fascino gotico che Somato ha saputo imprimere nelle pagine del manga, e le ambientazioni sono ricche di dettagli – tra corridoi cupi, stanze illuminate da lanterne e gli sterminati e spaventosi giardini di Villa Shadow – con un lavoro sui colori davvero pregevole, dove il contrasto tra luci calde e ambienti freddi ha uno straordinario impatto visivo sullo spettatore.
Le animazioni rimangono una delle specialità dello studio giapponese, in grado di dare credibilità e dinamicità a personaggi completamente neri quali sono le ombre, riuscendo a farle sembrare espressive e vitali come i loro volti.
La colonna sonora unisce brillantemente atmosfere cupe e spettrali a tracce eleganti e raffinate, in continuità con quanto fatto nel primo ciclo di episodi della serie. Notevole, inoltre, lo sforzo compiuto sulle sigle: se la opening – Shall We Dance di ReoNa – ricalca per sonorità e stile la sigla di apertura della precedente stagione, è con il tema di chiusura che la bellezza senza tempo dell’opera mostra il meglio di sé. Masquerade (così si chiama il brano che chiude i nuovi episodi dello show) è un pezzo di qualità eccelsa, e il video che accompagna la musica mostra proprio Barbara e Maryrose, personaggi chiave della storia della seconda stagione, regalando allo spettatore la chiave di lettura finale. Shadows House si concentra, nella sua nuova iterazione, sulla contrapposizione di due ideali tanto simili quanto diversi tra loro, come la ricerca del libero arbitrio e il senso di lealtà verso chi promette la libertà ma si limita solamente a stringere ancor di più le maglie della prigionia. Inoltre, la perfetta dissolvenza a nero che collega il finale degli episodi (spesso luogo di colpi di scena intriganti) alla sigla di conclusione crea il giusto pathos nell’audience, lasciata in sospeso a domandarsi cosa potrebbe succedere nella puntata successiva.
Il metaforico passaggio di testimone del sogno di libertà di Maryrose a Kate, obbligato e drammatico, è ciò che resta di questa seconda stagione di Shadows House: forse la serie vuole insegnare che i propri demoni vanno affrontati, che è impossibile fuggire per sempre, e se la sfortunata capogruppo ha potuto solo assaporare per un momento effimero la gloria, il compito della protagonista del racconto sarà quello di restare alla Villa per combattere, e per porre fine al perverso gioco dell’Illustre Nonno.
Se sarà possibile assistere a questo scontro finale in futuro non è dato saperlo, ma la seconda stagione di Shadows House ha avuto il grande merito di essere stata in grado di piantare i semi per il prosieguo di una delle opere più particolari e ammalianti della moderna industria dell’animazione giapponese, in attesa che i frutti del duro lavoro di CloverWorks e di Somato possano essere raccolti in futuro.
In chiusura, vi lasciamo ad alcuni nostri interessanti articoli, come la recensione della prima stagione di Call of the Night, e il nostro Anichills dedicato allo splendido anime gotico Another.
#RECENSIONIANIME
SHADOWS HOUSE – STAGIONE 2 IN BREVE: UN SALTO DI QUALITÀ
La seconda stagione di Shadows House aveva il compito non semplice di confermare quanto di buono fatto nel primo arco di episodi, e al tempo stesso di migliorare lo sviluppo sin troppo sbrigativo del suo finale. Al netto di evidenti problematiche relative al ritmo della narrazione, che tuttavia non minano la sua fruizione, il lavoro di CloverWorks si dimostra efficace, alzando ulteriormente l’asticella della qualità della serie e riconciliandosi con i lettori del manga con un adattamento più fedele e di livello della sua controparte cartacea. Non resta che scoprire se un’eventuale terza stagione sarà in grado di posizionare definitivamente l’opera tra i migliori anime “di nicchia” degli ultimi anni.