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ANICHILLS: Another e l’insostenibile paura del diverso

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Per la rubrica dedicata agli anime e manga horror, oggi riscopriamo insieme una delle opere più importanti del genere dell’ultimo decennio.

All’interno del vasto panorama degli svariati prodotti di genere j-horror troviamo una piccola perla, sfortunatamente ancora considerata “di nicchia”, e prodotta dalla geniale mente di Yukito Ayatsuji. Another nasce nel 2006 come light novel pubblicata inizialmente sulla rivista Yasei Jidai e distribuita in seguito come unico volume nel 2009 nella versione giapponese da Kadokawa Shoten e in inglese da Yen Press; non risultano invece pubblicate, per il momento, versioni dell’originale novel in lingua italiana. Il lavoro diventa un caso editoriale, riscuotendo successo e recensioni positive sia da parte di appassionati e non, e da quel momento, una serie di adattamenti – manga, anime, persino un film live action – porterà Another a imporsi come uno dei punti di riferimento per la cultura otaku legata all’horror, spesso genere considerato come “secondario”, anche quando si tratta di anime e manga.

Tuttavia, il successo di Another sembra persino più legato ai progetti derivati dall’originale, piuttosto che dalla sola novel. Similmente a  quanto avvenuto con il “romanzo leggero” , il manga viene inizialmente pubblicato in capitoli dalla casa editrice Kadowawa Shoten, in questo caso sulla rivista Young Ace tra il 2010 e il 2011, e quasi nello stesso periodo vengono pubblicati quattro volumi tankōbon più un volume “0” nel 2012, riscuotendo nuovamente consensi in patria. In Italia il manga arriva nello stesso anno grazie a Star Comics, che pubblica i quattro volumi nella collana Shot tra febbraio e giugno, e l’opera diventa immediatamente un cult per i fan dell’horror e di storie macabre e inquietanti.  Nel 2021, nove anni dopo la prima pubblicazione,  Star Comics regala all’opera un nuovo momento di gloria, portando agli appassionati una nuova edizione contenente anche il volume “0” rimasto inedito in Italia fino a quel momento.

Ultima, ma non per importanza, la serie tv anime diretta da Tsutomu Mizushima, che viene interamente prodotta dallo studio di animazione giapponese P.A.Works, pubblicata in 12 puntate tra il 10 gennaio e il 27 marzo 2012 sulle reti televisive giapponesi KNB, KBS, Tokyo MX e Chiba TV, mentre in Italia arriva grazie all’editore Dynit ed è disponibile in streaming sulla piattaforma VVVVID sottotitolata in italiano. Il prodotto non è ancora stato doppiato in italiano.  Degli svariati medium in cui Another è stato riadattato, sicuramente la serie anime è stato il lavoro di maggior successo, in grado di raggiungere un pubblico vasto e variegato, favorendo le vendite anche delle sue controparti cartacee, e rimane tutt’ora tra i primi titoli animati giapponesi di genere horror a essere nominati tra gli esperti.

Ma quali sono le ragioni che hanno portato Another al successo? Può ancora oggi essere considerata tra le opere più influenti dell’orrore di stampo giapponese? Per capirlo, riscopriamo insieme l’elegante lavoro di Yukito Ayatsuji, compiendo una retrospettiva e andando ad analizzarne pregi e difetti, a più di dieci anni dalla sua uscita.


Chi è il morto?


Nel 1998, Kōichi Sakakibara si trasferisce da Tokyo a Yomiyama per stare con i suoi nonni mentre suo padre si trova in India per un viaggio di lavoro. Dopo un periodo passato in ospedale a causa di un problema ai polmoni, Kōichi arriva nella sua nuova scuola e qui conosce i suoi compagni di classe, i quali  fin da subito hanno un’aria tesa e uno strano comportamento. Una di loro è Mei Misaki che Kōichi incontra per la prima volta durante il suo periodo in ospedale. Kōichi da subito viene incuriosito da Mei e dalla benda che porta sopra l’occhio sinistro, ma nota anche che di essere il solo all’interno della sua classe ad interagire con lei. Quando Kōichi cerca di indagare in modo più approfondito su Mei e sulla sua storia i suoi compagni sembrano non sapere niente di lei, come se non esistesse.

Kōichi inizia a indagare e scopre che ventisei anni prima, nel 1972, una studentessa della sua scuola  era morta misteriosamente, e che da quel momento la sua classe che   era andata incontro a una maledizione che  aveva causato morti improvvise e incidenti –  inizialmente parsi semplicemente frutto di coincidenze sfortunate –  successivamente risultati legati tra loro.

Parlando con Mei e con il bibliotecario della scuola, Kōichi  apprende che la persona morta trent’anni prima frequentava la sua stessa classe, ovvero la sezione numero tre, e  che anche i suoi attuali compagni di classe e i professori sono coinvolti nella maledizione che porta alla morte degli alunni della classe terza, dei loro parenti e le persone a loro legate. Sarà quindi compito del ragazzo, con l’aiuto della “maledetta” Mei (la cui storia è fulcro centrale dell’intera trama), cercare di risolvere il mistero, e di sconfiggere questo male prima che sia troppo tardi, e che porti inevitabilmente alla scomparsa dell’intera classe.

La cultura giapponese è ricca di tradizioni e leggende legate alla morte e a ciò che potrebbe esserci dopo. Molte religioni diffuse in Giappone considerano il corpo e l’anima due cose separate, per cui la morte non viene necessariamente vista come la fine della vita di una persona, ma piuttosto come il momento in cui l’anima e il corpo si separano, presupponendo quindi una vita dopo la morte.

Sono tante le opere mediali che hanno come nodo centrale della trama la morte come concetto ricco di significato e di sfaccettature. Ne sono un esempio Death Note, in cui la morte viene racchiusa da un quaderno e viene dato largo spazio a un dio della morte (uno shinigami), mentre per quanto riguarda i film un ruolo di rilievo viene ricoperto da Ju-On, in seguito riadattato negli Stati Uniti come The Grudge, che si basa sulla leggenda metropolitana giapponese secondo la quale chiunque abbia a che fare con un luogo in cui c’è stata una morte violenta verrà tormentato e perseguitato dal fantasma della persona morta in quel luogo.

Si può comprendere quindi come in Giappone spesso la morte sia strettamente legata a un oggetto o a un luogo: nel caso di Death Note a un quaderno, in Ju-On un’abitazione.

Analizzando Another, troviamo una differenza sostanziale rispetto ai casi citati, la morte infatti si lega a una classe non come ambiente fisico ma come gruppo di persone destinate a frequentare quella specifica sezione, la terza per l’esattezza.

In questo caso, la maledizione non nasce a causa della morte di una persona, ma in seguito al comportamento che i compagni  della persona defunta e i suoi professori hanno adottato in un tentativo di esorcizzare il dolore della perdita in seguito al tragico incidente, non accettando la morte di una persona a loro cara. Gli alunni e i professori, infatti, tengono il nome della persona scomparsa nel registro e un banco e una sedia in più nella classe, facendo quindi finta che  essa sia ancora in vita, di conseguenza attirando su di loro la maledizione.


Stessa storia, diverse sensazioni


In termini di storyline nel suo complesso, l’anime e il manga di Another sono molto simili, gli avvenimenti principali e i racconti legati alla maledizione e alle vicende scatenate da quest’ultima sono gli stessi, spesso raccontati con le stesse parole, tuttavia in alcuni punti, le due versioni tendono a divergere, creando atmosfere diverse.

Alcune parti presenti nell’anime, non vengono menzionate nel manga: non si tratta di scene essenziali ai fini della narrazione nel suo complesso, ma contribuiscono a dare all’anime un’atmosfera più horror rispetto al manga che invece risulta molto più “leggero”, più vicino ad un thriller come genere.

L’adattamento animato  ha un inizio più narrativo e diluito, incentrato sulla spiegazione della maledizione e sulla presentazione dei personaggi e i rapporti che li legano, e per questo motivo  il ritmo degli episodi appare più lento, ma non si tratta mai di allungamenti noiosi, o che possano risultare indigesti agli spettatori. Proseguendo verso le ultime puntate gli avvenimenti si susseguono molto più velocemente, e sono caratterizzati da scene più splatter e disturbanti, sia per la resa visiva e l’impatto che esse hanno, sia per il significato che si cela dietro a questi momenti.

Al manga mancano molti degli avvenimenti più cruenti; infatti, la maggior parte dei fatti macabri e oscuri che vengono mostrati approfonditamente nell’anime, nella sua versione cartacea vengono solo raccontati e non occupano troppe vignette, pur rimanendo parti essenziali della trama nonostante il minore spazio dedicatogli lungo la narrazione.


Tra superficialità e scavo psicologico


Nella narrazione, il primo personaggio che ci viene presentato è Kōichi Sakakibara, il quale viene ricoverato in ospedale poco prima dell’inizio dell’anno scolastico a causa di uno pneumotorace e vive a Yomiyama con i suoi nonni e sua zia Reiko, sorella della sua defunta madre. Kōichi da subito si pone come un ragazzo molto calmo ma pieno di pensieri e ricordi nebbiosi riguardo il suo passato.

Kōichi viene fin da subito incuriosito da un altro personaggio: Mei Misaki, incontrata per la prima volta nell’ospedale in cui viene ricoverato. Il ragazzo da subito nota uno strano comportamento da parte di tutti i compagni di classe nei confronti della ragazza, contribuendo ad aumentare la curiosità nei suoi confronti e spingendolo ad approfondire il rapporto con lei, nonostante il tentativo di Mei di allontanarlo.

Mei  porta una benda sull’occhio, elemento che contribuisce ad accentuare la sua aura oscura e bizzarra, insieme ad un incarnato pallido e uno sguardo cupo. Si presenta come una ragazza misteriosa e riservata e non traspare subito la sua vera natura, e questo rende il confine tra essere reale e soprannaturale molto sottile.  Senza ombra di dubbio, è proprio la giovane il personaggio meglio approfondito psicologicamente, e probabilmente l’unico che rimane realmente impresso se si pensa ad Another.

La caratterizzazione degli altri personaggi non è degna di nota: in generale viene dato più spazio alla narrazione che allo sviluppo del profilo di ogni singolo personaggio secondario, complice probabilmente anche il numero di puntate e volumi limitato.

Un’eccezione è rappresentatada Izumi Akazawa, “Responsabile delle Contromisure” nella terza classe della scuola media Yomiyama Nord. Il suo ruolo all’interno della classe non è quello di semplice “rappresentante degli studenti” ma di punto di riferimento per i suoi compagni di classe nella gestione delle calamità legate alla maledizione. La storia di Izumi differisce tra anime e manga ma in entrambe emerge la sua personalità forte e sensibile allo stesso tempo, e si percepisce anche il peso che deve sopportare per la responsabilità che le è stata affidata.

Rilevante nello sviluppo della trama è anche Reiko, zia di Kōichi, e condivide con Izumi il fatto di avere un percorso diverso tra anime e manga. Ciò che è più importante, tuttavia, è  il peso diverso che ha tra versione animata e versione cartacea; infatti, nel primo caso la sua parte nella narrazione non è  particolarmente importante se non nelle ultime puntate, mentre nel manga viene dato molto più spazio alla sua storia e alle sue emozioni.

Per i personaggi secondari, oltre quelli già menzionati, non vi è un reale approfondimento delle caratteristiche individuali, ma piuttosto viene data una visione complessiva del gruppo che reagisce all’unisono nei confronti delle conseguenze della maledizione. L’apice della loro paura, unica loro vera emozione che si può identificare durante il racconto, può essere individuato soprattutto nel finale , nel momento in cui la tensione accumulata durante tutto l’arco narrativo sfocia in un atto conclusivo teso e sconvolgente.

Nonostante Another venga identificato come manga seinen, quindi destinato ad un pubblico maschile dai diciotto anni in su, alcuni temi sono ricorrenti anche tra i prodotti destinati agli adolescenti. Tra di essi troviamo il tema del bullismo e dell’emarginazione, in questo caso subiti da Mei, che viene completamente ignorata dai suoi compagni di classe e dai professori, in quanto ritenuta responsabile delle tragedie. Questo è probabilmente uno dei motivi per cui è difficile collocare l’opera all’interno di una precisa demografica, essendo carente del grande scavo psicologico che di solito è ben presente nelle opere di target “adulto”, ma presentando anche una serie di tematiche difficilmente ritrovabili nei classici prodotti shonen.


Un horror di stampo classico


Tra i diversi titoli j-horror degli ultimi anni, Another si ricollega ad altre opere della stessa categoria per la presenza di un’entità maligna, con la differenza che in questo caso non viene reincarnata in un mostro, un assassino o uno spirito malvagio ma che allo stesso modo, si nutre delle emozioni negative delle persone, in questo caso la solitudine e l’inquietudine. Il titolo stesso, “un altro”, suggerisce la presenza di “una persona in più” in questo caso intesa come entità diversa dai mortali.

La narrazione ricca di suspense è coadiuvata nell’anime anche dalla presenza di stacchi come tra una scena e l’altra di immagini di bambole della durata di qualche frazione di secondo, che contribuiscono a incrementare l’inquietudine e l’angoscia nella percezione dello spettatore nonostante non sia un elemento essenziale ai fini della trama.

Il concetto relativo all’inevitabilità della morte qui viene portato a livelli simili a quelli della saga americana di Final Destination, in cui le persone coinvolte nella maledizione sembrano destinate ad una morte tragica, riconducendo quest’opera non solo ai classici canoni del genere nipponico a cui appartiene, ma anche, in modo più ampio, all’horror cinematografico hollywoodiano. Another, in definitiva, è un lavoro da un lato molto complesso e stratificato nel legarsi ad aspetti della cultura giapponese profondi e che riguardano tematiche come la morte e la vita, mentre dall’altro si presta di più a una visione senza troppe pretese, e che punta allo “spavento facile”, riuscendo ad accontentare un vasto numero di spettatori. In questo risiede la forza di un’opera che sembra combattere il tempo che passa: riuscire a presentarci aspetti non scontati legati alla spiritualità, ma al tempo stesso a intrattenerci in dodici episodi che vanno visti tutti d’un fiato. La creatura di Ayatsuji si lascia ricordare con affetto, e si presta anche a seconde o terze visioni, proprio per la sua natura dinamica. Di certo, se si vogliono passare un paio di serate in compagnia e ottenere dei sani brividi, Another è un prodotto che non stanca e annoia, e non lo farà mai.

In conclusione, vi lasciamo ad alcuni interessanti articoli, come la recensione della seconda stagione di Made in Abyss, e la recensione del film Jujutsu Kaisen 0.

#INBREVE

ANOTHER IN BREVE: UN CLASSICO MODERNO

Nonostante alcuni elementi in Another siano aperti a più interpretazioni, il racconto sia nel manga che nell’anime è abbastanza lineare e ogni cosa viene rivelata nel momento giusto. La narrazione non affretta i tempi, evitando di rivelare ogni cosa alla fine con colpi di scena esagerati, ma al contrario accompagna lo spettatore o il lettore lungo il racconto, concedendo la giusta quantità di indizi poco per volta. Nel complesso ci troviamo di fronte ad un opera più che godibile, ben raccontata, anche grazie agli espressivi disegni di Yukito Ayatsuji e la successiva animazione dello studio P.A.Works.

Degna di nota, la sigla iniziale e la colonna sonora che contribuiscono a creare l’atmosfera cupa e dark che caratterizza l’opera nel complesso, in particolare le musiche a tratti disturbanti e distorte che accompagnano il racconto e sempre inserite al momento giusto. In definitiva, Another è sicuramente annoverabile tra i classici “moderni” migliori del j-horror, e rimane uno dei punti di riferimento del genere.

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