Connettiti con noi

Anime

Made in Abyss stagione 2, recensione: magie e follie nel sesto strato

Pubblicato

il

Le avventure di Riko, Reg e Nanachi proseguono in dodici nuovi episodi ancora più bizzarri dei precedenti.

A cinque anni di distanza dalla prima stagione e due dal film Dawn of the Deep Soul, arriva Made in Abyss – Stagione 2: La città dorata del sole ardente, disponibile dall8 luglio di questanno su Prime Video.

La serie, prodotta dallo studio Kinema Citrus e diretta da Masayuki Kojima, è composta da dodici episodi di ventiquattro minuti ciascuno (dove lultimo ha una durata di quarantasette minuti) e ripercorre il manga dal sesto al decimo volume, per un totale di ventidue capitoli. Gli eventi si pongono in continuità con quelli di Dawn of the Deep Soul, ma la seconda stagione risulta comprensibile anche per chi avesse visto soltanto la prima; tuttavia, la visione del film è fortemente consigliata, soprattutto per i suoi riferimenti agli archi narrativi di Nanachi e Prushka. Facoltativi sono invece Journeys Dawn e Wandering Twilight, poiché semplici riassunti delle prime tredici puntate.

Quali impressioni ci lascia questa seconda stagione? Raggiunto il sesto strato, le stranezze dellAbisso aumentano a dismisura, così come i personaggi, i cimeli e le informazioni sul passato dei protagonisti. Riscontriamo perciò un generale senso di espansione, controbilanciato dalla staticità degli eventi narrati: la seconda stagione, infatti, si svolge interamente nella Capitale del non ritorno, con tutti i vantaggi e gli svantaggi narrativi e non che ne derivano.

 


La parabola dei Ganja: una storia nella storia


La seconda stagione avrebbe potuto iniziare con Riko, Reg e Nanachi che entrano nella capsula di trasporto per raggiungere il sesto strato, come ci sarebbe aspettato dopo il finale di Dawn of the Deep Soul; ma così non è successo.

In un tempo non specificato, una ragazza di nome Vueko racconta il proprio passato attraverso una voce fuori campo e rivolgendosi a una certa Irumyuui. Osserviamo Vueko sfuggire dal tutore che abusava di lei, unirsi a una spedizione di pellegrini chiamata Ganja e ricercare la fantomatica Città dOro, che, stando alle leggende, giace nel punto più profondo dellAbisso. I personaggi principali sono tre: oltre alla ragazza, conosciamo il leader-profeta Wazukyan e il membro sfigurato Belaf. Quando raggiungono la loro meta, a essi si aggiunge una bambina nativa, allontanata dal villaggio poiché sterile: il suo nome è Irumyuui, la destinataria del racconto iniziale. Wazukyan la accetta nel gruppo per avvalersi delle sue conoscenze del posto, ma è soprattutto Vueko a legare con lei.

In seguito il primo episodio riprende il viaggio di Riko, Reg e Nanachi, che raggiungono finalmente la Capitale del non ritorno. Lo stesso vale per il secondo episodio e la prima parte del terzo; a partire dal quarto, la storia alterna la trama principale e quella secondaria non soltanto nei rispettivi lassi temporali, ma anche nel presente degli eventi narrati. Per qualche ragione, anche i Ganja si trovano nella Capitale, pur in uno stato sensibilmente diverso. Scopriremo strada facendo i tragici eventi che li hanno condotti a una situazione simile.

In definitiva, lo spettatore si ritrova catapultato fin da subito in una storia allinterno della storia, ricca di nuovi luoghi, personaggi e meccanismi narrativi, la cui complessità aumenta allaumentare degli episodi. Il suo obiettivo diventa ricostruire gli eventi, poiché egli ignora sia quando sono collocati temporalmente i pellegrini dei Ganja, sia cosè accaduto di tanto terribile da mutarli a tal punto, con lunico indizio che la causa risieda, almeno in parte, nel rapporto tra Vueko e la piccola Irumyuui. Anche la prima stagione presentava un gran numero di misteri – basti pensare alla provenienza di Reg, al destino di Lyza o al legame tra Nanachi e Mitty, – ma stavolta sono maggiori e svelati perlopiù allinterno dei dodici episodi. Ciò dipende dalla loro forte interconnessione: non sorprende che una singola rivelazione riesca a illuminare più di un segreto della Capitale.

Unarchitettura simile dimostra ancora una volta la ricchezza del manga di Akishito Tsukushi e delladattamento animato di Masayuki Kojima, dove ogni dettaglio ha la sua ragion dessere. La capacità di questa stagione di procedere in funzione di un finale prestabilito ci suggerisce come Made in Abyss, anche in grande scala, riuscirà sicuramente a dissipare ogni dubbio e creare un epilogo degno della qualità che lha da sempre contraddistinto.

 


Il sesto strato: una stranezza nella stranezza


Il microcosmo del sesto strato (che è a sua volta contenuto in un altro microcosmo, come si scoprirà nellottavo episodio) non spartisce nulla con gli stati precedenti, né tantomeno con Orth.

Se i tre protagonisti riescono a capirne le regole è grazie a Majikaja, il quadrupede meccanico che si offre gentilmente come guida. Ad esempio, scoprono che egli vive insieme ad altre creature chiamate Hollow nel villaggio di Ilblu; che a Ilbu la maledizione dellAbisso sembra non avere effetto; che la valuta utilizzata dagli abitanti prende il nome di valore e si ottiene barattando non oggetti, servizi o cimeli, bensì parti della propria persona. «Io stavo parlando del tuo corpo» afferma Majikaja quando Riko vuole effettuare un baratto comune. «Hai un ottimo valore. Ad esempio, occhi, pelle o grasso. I bambini umani hanno il massimo valore.» Ne deriva una spersonalizzazione fisica, psicologica e soprattutto morale, ben diversa da quella dei cinque strati precedenti. La disumanità è accresciuta da Tsukushi e dalla sua bravura nellideare le sembianze dei mostri: le creature si fanno da un lato più semplici, da un lato più complesse, con risultati sempre originali e funzionali alla trama stessa.

Tutto ciò si pone in netto contrasto con la società di Orth, dimostrando al contempo fino a che punto Riko si sia spinta con la sua missione. Se un giorno tornerà in superficie per raccontre le imprese vissute nellAbisso, non sorprenderebbe se lesploratrice si convincesse che Majikaja, gli Hollow, Ilbu e tutto il resto siano nientaltro che il frutto di un sogno bizzarro.

Ma analizziamo più nel dettaglio il contesto di Made in Abyss 2. Salvo pochi minuti iniziali, la seconda stagione si svolge interamente in un unico strato – il sesto, appunto. Larco narrativo della Capitale del non ritorno è addirittura il più longevo, occupando l’intero secondo ciclo di episodi, a fronte del ben più breve periodo trascorso a Orth, nella Foresta della Tentazione, nei Calici dei Giganti e nel Mare dei Cadaveri.

Il cambio di rotta rispetto alla prima stagione è netto. Inizialmente Riko riusciva a superare gran parte degli strati in una sola puntata, e, per quanto aiutata dalle braccia meccaniche di Reg, lasciava nello spettatore un dubbio insistente: come possono due bambini discendere così in profondità nellAbisso, quando perfino i Fischietti Bianchi adulti falliscono nellintento?

La correzione attuata ne La città dorata del sole ardente consente di approfondire lambiente bizzarro in cui Riko, Reg e Nanachi si ritrovano ad agire, perciò non sorprende che il sesto strato abbia unidentità ben più forte dei precedenti; inoltre, permettere allo spettatore di metabolizzare le informazioni più complesse. Daltro canto, la monotonia può risultare eccessiva. Un prezzo da pagare per arricchire la trama e rendere il viaggio più difficoltoso, nonostante una soluzione sarebbe stato suddividere gli strati principali in altri minori. Altrettanto eccessiva è la complessità degli eventi narrati: dalle tradizioni tipiche ai vecchi ritorni, dai nuovi cimeli ai poteri inaspettati, dalle creature interne al villaggio a quelle esterne e molto, molto altro ancora, la carne sul fuoco è decisamente troppa. Perfino gli schieramenti appaiono confusi, soprattutto negli episodi finali.

Tuttavia, narrare questo arco narrativo superficialmente avrebbe pregiudicato non poco la visione. Il sesto strato è un mondo a sé stante, un sistema isolato le cui regole sono realizzabili soltanto attraverso un contatto diretto – di qui lulteriore “azzeramento” di quanto sperimentato finora. Lidea è rafforzata dallimpossibilità di rientrare in superficie senza gravissimi effetti collaterali. «Noi labbiamo infine raggiunto, e una volta lì… non siamo mai più tornati indietro» afferma Riko una volta arrivati – o forse è una sua versione futura a parlare?

Contribuisce a dare questa sensazione la mancanza di digressioni sugli avvenimenti a Orth (così frequenti nella discesa dei primi strati) e il simbolo dellHaku, introdotto già nel secondo episodio. Esso ricorda la sagoma di un omino appeso a testa in giù e può rappresentare la posizione sfavorevole in cui si trovano i protagonisti, oppure, rifacendoci alla figura dellAppeso nei tarocchi, un individuo che osserva il mondo dalla prospettiva privilegiata che il suo posizionamento anomalo gli garantisce. Proprio come fanno Reg, Nanachi e soprattutto Riko verso la loro ormai irragiungibile vita passata.

 


Sguardi accesi e sguardi spenti


Veicolare le emozioni più intime dei personaggi ha da sempre rappresentato una caratteristica di Made in Abyss, dimostrando come un anime “fanciullesco” non sia impossibilitato nellesprimere tematiche profonde (e crude, se non addirittura s anguinolente).

Tale profondità è riassunta nello sguardo luminoso dei protagonisti. «La bellezza sta negli occhi» dice Belaf a Vueko mentre sono in viaggio per la Città Dorata. «Non dico lorgano in sé, io sto parlando dello sguardo.» Questa affermazione, oltre a prefigurare il valore di Ilbu, il destino di Belaf e la vera essenza di Vueko, sembra suggerirci limportanza che gli occhi avranno nel futuro della serie. Dal giorno in cui Jiruo ha rivelato a Riko dei suoi problemi di vista, le coincidenze si sono fatte fin troppe.

Tuttavia, se la spersonalizzazione degli abitanti di Ilbu è funzionale alla trama, lo stesso non si può dire dellappiattimento psicologico che Riko, Reg e Nanachi subiscono in questi nuovi dodici episodi.

Sembra quasi che la complessità eccessiva del sesto strato richieda unattenzione totale da parte dellautore e dello spettatore, ma alzare un piatto della bilancia richiede labbassamento dellaltro, ossia il mondo in teriore dei tre protagonisti. Riko diventa una marionetta in balia di forze che non conosce, mentre Nanachi cade in un sonno profondo che la allontana dai giochi per un po; Reg, invece, riesce a compensare lappiattimento (almeno in parte) grazie a due elementi principali, ossia le nuove informazioni sul suo passato e Faputa, la Principessa del Narehate con cui riallaccia i rapporti dal terzo episodio. Inoltre, ora il robot è in compagnia di ben tre ragazze: Riko, Nanachi e la “vecchia fiamma” Faputa. La questione amorosa è subordinata al resto, ma pur sempre interessante, soprattutto considerando come un futuro legame sentimentale con la figlia di Lyza non sia più tanto scontato.

Ma tutto ciò non basta per salvare Reg dalla superficialità. Egli manifesta le sue abilità nel legame con gli altri, e ora che Riko e Nanachi sono eclissate non può farlo nel migliore dei modi. Senza contare gli eventi dellepisodio 6, Richiamo, dove Riko scopre una nuova funzionalità di Prushka, fischia al suo interno ed evoca un Reg anonimo ed efficiente, pronto a obbedire a qualsiasi ordine. Paradossalmente, il piccolo androide non è mai stato tanto robotico.

Forse una scelta simile vuole dimostrare levoluzione dei personaggi, che aprono i loro cuori a tutta la diversità che il sesto strato può offrire fino a perdere qualche parte di se stessi; inoltre, la spersonalizzazione stessa è un modo per rapportarsi “alla pari” tanto con gli abitanti di Ilbu quanto con Prushka. Eppure, gli svantaggi sono superiori agli svantaggi; e considerando che Riko, Reg e Nanachi agiscono separatamente per la maggior parte del tempo, con tutte le possibilità di approfondimento che ne derivano, loccasione è ancor più mancata. Alcune soluzioni avrebbero veicolato il messaggio pur senza danneggiare la psicologia dei protagonisti e generare effetti collaterali, come limportanza insistente conferita a Reg (già centrale nel precedente Dawn of the Deep Soul).

 


Tra nuove tragedie e vecchi ricordi


La prima stagione non mancava certo di tragedie e scenari crudi, al punto che in molti si erano chiesti se la seconda avrebbe potuto mai superarla: dal rapporto tra Nanachi e Mitty a quello tra Lyza e Ozen, dal combattimento con Ozen stessa allavvelenamento di Riko, le dodici puntate iniziali avevano superato di gran lunga unaudience per bambini – non sorprende che la gran parte degli episodi sia contrassegnata “16+” su Prime Video.

Eppure, La città dorata del sole splendente sembra essere riuscita nellintento. Latmosfera violenta viene fissata già nei primi minuti, per poi accrescere sempre più fino allo splendido, commovente finale di stagione. Il tutto arricchito da backstory allaltezza del genio di Tsukushi.

Il passato più tragico è probabilmente quello di Irumyuui, la bambina costretta a ricevere la Culla del Desiderio per salvare la vita dei Ganja. Linvoluzione che subisce dimostra la crudeltà di questo mondo e degli individui che lo abitano, pronti a sacrificare ogni cosa pur di raggiungere i propri obiettivi. È la figura del leader-profeta Wazukyan la più intrigante da questo punto di vista: «Ho un presentimento, e io mi sbaglio raramente» dice mentre sono in barca, come se la sua missione (o meglio, la loro missione) rientrasse in un progetto ben più grande. La carneficina che ne deriva spinge a porsi domande dalla non facile risoluzione. Chi ha ragione? Coloro che mantengono la loro moralità anche a costo di perdere, o coloro che, pur sporcandosi le mani, riescono a vincere nel lungo periodo? Il confine tra Bene e Male si fa sempre più labile.

Questioni simili non hanno risposte definite, perciò Made in Abyss sceglie di non schierarsi; tuttavia, mostra gli effetti negativi che scaturiscono dalla decisione di Wazukyan, ossia una catena di vendette basate sul principio “occhio per occhio e dente per dente”. Basti pensare al destino dei Ganja, al concetto del valore e soprattutto alla necessità di riequilibrare quel mondo distorto che ha distrutto le sue stesse origini. La storia giungerà infine a un compromesso, dimostrando come spesso le ritorsioni danneggino tanto la vittima quanto lesecutore. Ma il percorso è disseminato da torture, mutazioni e smembramenti a cui la storia ci ha già abiutati – anche se non potrà mai farlo abbastanza. Il declino di Irumyuui è rinnovato da dettagli sempre più macabri, mentre gli omicidi di Faputa toccano il picco di violenza allinterno della serie.

Se un difetto devessere trovato nella scrittura drammatica, però, non è il linguaggio eccessivamente esplicito, bensì le emozioni che tale linguaggio esprime. Troppo spesso la serie insiste su un unico tema, cioè linospitalità dellAbisso, la necessità di sperimentare soluzioni ai danni di una cavia e gli effetti tragici dellesperimento stesso; e questo vale tanto per le due stagioni quanto per il film Dawn of the Deep Soul. È impossibile non rivedere il rapporto tra Nanachi e Mitty in quello tra Bondrewd e Prushka, così come non rivedere entrambi nella distruzione di Irumyuui a opera di Wazukyan; ma il primo parallelismo era più accettabile, poiché causato da un unico individuo.

Daltro canto, è giusto che un prodotto artistico si focalizzi su un gruppo ristretto di argomenti – spesso centrali nella vita degli autori stessi, – ma dovrebbe farlo da angolazioni sempre differenti. Al contrario, La città dorata del sole splendente imbastisce gli eventi nel tentativo di fare presa ogni volta sulle medesime emozioni.

La ridondanza si riscontra anche nella microscala, soprattutto sul piano uditivo. Per ben due volte un personaggio si apre in un discorso strappalacrime (ed entrambi in un unico episodio, Oro), mentre le volte in cui Majikaja pronuncia “hadi” o Faputa termina le proprie frasi con “sosu” per conferirsi unaria aristocratica sono decisamente troppe. Perfino le conversazioni finali fanno presa su sentimenti che lo spettatore è ormai stanco di provare. Inoltre – ricollegandoci alla sezione sul sesto strato, – gli abitanti del villaggio ripetono le meccaniche intorno a loro uninfinità di volte per sopperire alla complessità delle regole narrative. E così facendo alcune informazioni essenziali vengono tralasciate – ad esempio, comè riuscito Majikaja a modificare il suo corpo?

Ma una lancia andrebbe spezzata comunque a favore dellautore. La sua capacità di descrivere le tragedie è senza limiti. Di fronte a uningiustizia ai danni di un essere indifeso non smetteremo mai di rattristarci, e neanche per quella dopo, e neanche per quella dopo ancora, e ancora, e ancora, e così via, fino alle profondità più remote dellAbisso.

In conclusione, vi lasciamo ad alcuni nostri interessanti articoli come la recensione della seconda stagione di Demon Slayer, e un approfondimento su cinque curiosità che riguardano Mitsuri Kanroji di Demon Slayer.

3.5

MADE IN ABYSS STAGIONE 2, RECENSIONE: MAGIE E FOLLIE NEL SESTO STRATO

La seconda stagione di Made in Abyss introduce un gran numero di luoghi, personaggi e meccanismi narrativi, arricchendo l’Abisso e tutto ciò che gravita intorno a esso. Il sesto strato viene sviscerato nel più minimo dettaglio, ognuno dei quali concorre al risultato finale. Altrettanto ben delineata è l’involuzione di Irumyuui, con tutte le questioni etiche che ne derivano. Peccato per il contesto eccessivamente monotono e complesso, a cui si aggiungono personaggi poco caratterizzati (se non addirittura piatti) ed emozioni ripetitive. Ma la qualità dell’opera di Tsukushi e dell’adattamento di Kojima ci permette con facilità di sorvolare sui difetti per apprezzare tutto il resto.

Advertisement

follow us

Trending