Hirayasumi: il sorprendente primo volume di Keigo Shinzō
Grazie alla ormai longeva collaborazione con Edizioni BD e J-Pop, abbiamo avuto l’opportunità di stringere fra le mani il primo volume dell’ultima opera a fumetti di Keigo Shinzō: Hirayasumi. Negli ultimi anni si è conquistato un posto fra gli scaffali popolati da autori più esperti, grazie alla sua grande capacità di raccontare l’umanità attraverso i suoi personaggi. Questi, animati dalle linee tonde, precise e appena sporcate del pennino, sembrano quasi prendere vita.
Keigo Shinzō comincia la sua carriera nel 2009 con l’uscita di Moriyama Naka Driving School, che uscirà in Italia il 24 novembre 2023, edito da Dynit. L’opera che lo fa conoscere al grande pubblico è però Tokio Alien Bros., uno slice of life, un tipo di narrazione che l’autore sfrutta in maniera eccellente. Atipico, dai toni che oscillano dal thriller all’umoristico, creando un mix di emozioni scandito dall’approfondimento dei due protagonisti che scende verticalmente e crea uno spaccato dell’emotività umana.
Altra opera che ha avuto grande successo in Italia è Randagi che, a differenza delle precedenti, viene portata in Italia da J-Pop, esattamente come il volume di cui andremo a parlare oggi.
Peculiarità artistiche e coerenza
Il tratto di Shinzō rimane quello che negli ultimi anni lo ha reso celebre, un pennino rapido e preciso che non sporca mai eccessivamente la tavola. Soprattutto in Tokio Alien Bros. si poteva notare la vaga ispirazione al mangaka Taiyō Matsumoto, autore, fra le altre cose, di capolavori come Ping Pong e Sunny. Il tratto di quest’ultimo, estremamente sporco e tremolante, si vede insinuarsi nel pennino di Shinzō quando stende i fondali del quartiere affollato in cui vivono i due fratelli protagonisti.
In quest’ultima opera l’autore si concentra sulle emozioni, creando lo spazio per una storia dai toni pacati, dolci, che ci accompagna nelle vite normali di due cugini molto diversi fra loro. Il tratto non muta profondamente, mantenendo le sue tipiche linee morbide che si adattano perfettamente alla storia, rinunciando però ad alcune sfumature sporche. Questi cambiamenti, che siano dettati da scelte ponderate o da un’evoluzione del tratto dell’autore, sono coerenti con i temi della storia e contribuiscono positivamente al proseguire della narrazione.
Un’altra caratteristica che contraddistingue Shinzō è il minimalismo. I volti vengono animati da pochi tratti rapidi e rotondeggianti, che restituiscono efficacemente le emozioni e i pensieri dei personaggi. Anche gli oggetti sono affetti da questo “tratto minimalista”. Nonostante ciò gli ambienti – soprattutto quelli chiusi, alle volte angusti – vengono popolati, prima che dai personaggi, da decine e decine di oggettini. Data la natura “slice of life” della storia, contribuiscono non solo esteticamente a riempire una pagina che pone come soggetto principale l’interiorità dei personaggi, ma anche a raccontare i protagonisti attraverso ciò che possiedono.
Quello di Shinzō è quasi un horror vacui che riesce a fondersi con un tratto estremamente semplice, delicato e moderato, creando una specie di paradosso estetico.
L’edizione: cura e divertimento
Quella dedicata al primo volume di Hirayasumi è un’edizione che si adatta benissimo ai temi della storia. La sovraccoperta, dove il bianco predomina, presenta un’illustrazione meravigliosa sul fronte, che raffigura i due cugini protagonisti con alle spalle la casa della vecchia Hanae. Oltre alla delicatezza dei colori pastello tipici di Shinzō, risaltano la cura dei particolari e la chiarezza con la quale viene rappresentato il rapporto fra i due; qualcosa che si capisce solo dopo aver concluso questo primo volume.
L’albo è curato in ogni sua parte, dal fronte alla costina: quest’ultima presenta un’illustrazione minimal e davvero carina del protagonista Hiroto. Anche la quarta di copertina ospita un disegno, assieme alla classica sinossi dedicata alla storia, che raffigura nuovamente la casa della signora Hanae (magari a sottolinearne l’importanza nel racconto). La sovraccoperta nasconde una copertina che ritrae alcune tavole del volume su sfondo chiaro, che a dirla tutta non aggiunge né toglie nulla al volume.
Qualcosa di particolare risalta scritto nei risvolti della sovraccoperta. In quello anteriore troviamo scritto “hajimari hajimari”, la cui traduzione è, all’incirca, “inizio inizio” oppure “iniziamo iniziamo”, non stona né desta sospetti dato che si trova a guardia delle prime pagine della storia. Magari un modo simpatico di dirci che si tratta sia dell’inizio del volume che dell’inizio della serializzazione. Una ricerca ulteriore ci riporta ad una canzone con questo titolo, dell’artista giapponese “back number”. Un consiglio d’ascolto dell’autore? Non possiamo saperlo, eppure diverte pensarlo.
Allo stesso modo le parole riportate sul risvolto posteriore nascondono qualcosa: “nikanhe tuduku”. Sicuramente una traslitterazione ambigua di “continua nel volume 2”,, così come troviamo scritto subito sotto. Eppure, se voleste divertirvi a tradurre queste parole in modo amatoriale, così come ho fatto io, il risultato potrebbe sorprendervi. Sareste confusi dal senso che questi termini, teoricamente giapponesi, acquistano nella lingua Shona: “piccole cose”,, questa la traduzione, che incredibilmente ha un senso ritrovare qui, dati i temi del racconto. Cosa c’entra la lingua Shona col Giappone? Nulla. È una lingua parlata da un ristretto sottogruppo etno-linguistico dei Bantu nello Zimbabwe.
Due coincidenze, sicuramente, eppure entrambe strappano un sorriso e donano quella profondità, immaginata o meno, e ambiguità che danno corpo ancora maggiore a questo volumetto.
Un racconto naturale
La storia si apre con alcune pagine a colori che cominciano, discretamente, a delineare la personalità del protagonista Hiro, un ragazzo di ventinove anni che Shinzō utilizza come profeta di una “categoria”, poco conosciuta e un po’ ostracizzata nella società giapponese: i freeter, ovvero quei ragazzi che dopo gli studi decidono di fare lavoretti occasionali per preservare un barlume di indipendenza.
Questa sua peculiarità è ben giustificata dalla descrizione che l’autore ci fa del protagonista, la quale avviene perlopiù attraverso gli occhi di altri personaggi, in modo da caratterizzare ulteriormente il giudizio del mondo circostante verso questo tipo di attitudine. Hiro è stravagante (entra spesso in contatto con persone anziane, con le quali riesce a relazionarsi molto bene), ma è intimidito, se non spaventato, dalle ragazze che trova attraenti. Non va mai di fretta, caratteristica importante se teniamo conto delle tendenze generali nella cultura giapponese, e sembra non avere mai nulla per la testa: pensieri, preoccupazioni, ansie, sembrano non tangerlo, Hiro vive placido il suo presente.
Il rapporto che più di tutti occupa il suo tempo libero è la strana quanto intima amicizia con Hanae, una signora di ottantatré anni che abita una piccola villetta su un piano. Una rarità nel Giappone odierno, abituato ad appartamenti, mai di proprietà, che secondo occorrenza vengono cambiati e quindi abbandonati. Questa casetta diventa un perno della narrazione e restituisce dignità e importanza agli spazi intimi, quelli dove si costruiscono memorie e si inseguono i propri sogni, proprio come fanno i nostri protagonisti.
Anche Natsu impara a seguire i propri sogni all’interno di questa casa. Lei, la cugina di Hiro, trasferitasi a Tokio per frequentare la scuola d’arte, imparerà molto su se stessa dalla convivenza con quest’ultimo. Il loro rapporto particolare, fatto di un continuo e ingenuo conflitto, le permetterà di maturare. Le difficoltà della vita universitaria saranno scuola per la tempra e per il suo modo di relazionarsi, diminuendo di giorno in giorno d’intensità.
Gli eventi che vediamo susseguirsi man mano che scorriamo le pagine di questo primo volume sono carichi di emozioni, eppure non viene messo in scena un dramma straziante, né una storia d’amore struggente. Le mie sensazioni alla fine della lettura erano però state talmente acuite e influenzate dalla storia che ne sono rimasto sorpreso. Ho cominciato dunque a chiedermi il perché. La conclusione alla quale sono giunto è tanto banale quanto arricchente e lusinghiera per il racconto.
Gli eventi narrati non sono di per sé profondi o strappalacrime, ma acquistano senso e spessore in relazione ai personaggi che li vivono. Non sono le vicende a essere veicolo dei messaggi del racconto, sono i protagonisti che grazie ai loro vissuti, caratterizzazioni ma anche movenze e sguardi, permettono alle vicende di creare significato e generare emozioni forti nel lettore. Forse è un concetto astruso e non posso escludere che la mia valutazione sia biased dalla concordanza che ho trovato fra le mie emozioni e quelle vissute da alcuni protagonisti.
Poco importa. La sceneggiatura rimane il punto di forza del volume e Shinzō si riconferma un narratore attento e accurato. Lo spaccato che restituisce dell’emotività umana è puntuale, una caratteristica che permette di riconoscere sempre le sue opere “slice of life”. Ma non è accurato solo nello spaccato personale, questo volume è anche uno “slice of culture”, di una parte del Giappone contemporaneo. Se è riuscito un “forestiero” a riconoscervi tanti spunti di ragionamento, figuriamoci come un’opera del genere possa impattare sulla quotidianità di uno che in quella cultura vi è immerso.
A questo punto possiamo solo augurarci che i prossimi volumi siano all’altezza di questa storia, che si preannuncia sorprendente e, già dal primo volume, riesce a lasciare un solco profondo nell’animo del lettore.
Classe '99, amichevole e moderatamente caustico. È il Caporedattore delle sezioni "Animazione" e "Japan": ama il versante animato della settima arte e la cultura giapponese, ma non solo. Scrive per trasmettere la giusta media fra emozione e informazione.