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Intervista

Il viaggio interiore di Ryoko: intervista con Melania Ugolini dello studio Kodama

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“Ryoko è una sacerdotessa, che vive in un mondo governato dal Dio della Realtà. Un giorno scopre che un tempo quest’ultimo viveva in armonia con la Dea Spirituale, scomparsa misteriosamente. Trovala tra mondi materiali ed eterei, ottieni i suoi poteri, libera gli spiriti e ripristina l’equilibrio!”.

Queste righe provengono dall’introduzione di Ryoko, un videogioco italiano indipendente prodotto dallo Studio Kodama. Lo studio Kodama è una casa di sviluppo italiana indipendente, nata grazie alla sua vittoria alla Bologna Game Farm 2022. Questo li ha portati a partecipare allo Svilupparty 2023, evento di incontro tra sviluppatori e aziende per presentare e discutere i propri progetti.

Oggi ho il piacere di intervistare Melania Ugolini, una dei due fondatori dello studio, per parlare del loro gioco: un’avventura platform/puzzle game che ha come obiettivo la ricerca dell’interiorità.


Iniziamo dalle basi: Ryoko è il primo videogioco dello studio Kodama. Entrambi i nomi sono un richiamo evidente al Giappone. Ti va di parlarci un po’ dell’influenza che ha avuto la cultura giapponese nell’iniziare il vostro progetto?


– Per quanto riguarda i nomi innanzitutto ti devo dire che è venuto prima il gioco e poi il titolo dello studio, come spesso succede in questi casi. Non ho mai avuto una particolare passione per il Giappone, ma c’è stato un periodo in cui mi sono messa a studiare un po’ i tè asiatici, essendo una grande consumatrice di tè.

Ad un certo punto ho incontrato la filosofia zen. Da lì è iniziato un processo di scoperta del Giappone, che mi ha fatto pensare “quanto sarebbe bello avere un videogioco che parla di queste tematiche“. In altre parole, creare un mondo che non è una ricostruzione storica delle tradizioni giapponesi, ma che ne prende largamente ispirazione. Avevo in mente un videogioco che facesse immergere nell’atmosfera che stavo scoprendo in quel periodo, per cui il mio percorso individuale si è spostato nel videogioco.

Per quanto riguarda il nome dello studio, con il mio socio Daniele Petreti abbiamo deciso il nome Kodama sia per dove si trova lo studio, ossia il mio paesino d’origine Sant’Agata Feltria, che si trova in mezzo ai boschi, sia perché Daniele è un grande amante della natura. Per questo motivo abbiamo cercato un simbolo che ci rispecchiasse e abbiamo pensato che alla fine noi stiamo sviluppando, cioè creando, in mezzo ai boschi come fossimo dei Kodama. Il Kodama ci piace molto anche come simbolo spirituale,  è l’impronta che vorremmo dare a Ryoko e anche ai videogiochi futuri.


In generale, potresti raccontarci qual è stato il processo creativo per arrivare al vostro videogioco?


– Il processo creativo dal quale siamo partiti è stato principalmente narrativo. Uno dei punti forti di Ryoko è la sua narrazione, che però in definitiva lasceremo all’interpretazione dei giocatori. La parte più difficile e più importante è stata capire che cosa volevamo raccontare, che tipo di storia volevamo raccontare.

Ryoko in un tempio della Dea Spirituale. Immagine in esclusiva per gentile concessione dello studio Kodama.

Oltre a questo la parte più impegnativa del progetto, che è ancora in sviluppo,  è proprio la creazione e la ricostruzione del mondo in cui raccontiamo la nostra storia. Si tratta in questo caso di un progetto prevalentemente artistico: cercare di capire come creare ambienti, personaggi, tutto un’ecosistema che deve funzionare e in cui il giocatore si deve immergere per godersi la storia.

Noi siamo partiti dallo sviluppo del personaggio. Ci siamo detti che il personaggio è quell’elemento del gioco in cui il giocatore si deve calare, e quindi se non ci fosse piaciuto il personaggio anche il resto non ci sarebbe piaciuto. Abbiamo fatto alcune concept art in vari stili, seguendo delle indicazioni narrative che ho dato su che persona fosse Ryoko, cioè una giovane sacerdotessa del Dio della Realtà che scopre per caso l’esistenza di un’altra divinità.

Dopo avermi presentato alcune concept art io ho scelto uno degli stili e abbiamo cominciato a lavorare sulla trama. Nel frattempo, insieme al mio socio e ai programmatori pianificavamo le meccaniche di gioco. In quel periodo ho dovuto fare sia il direttore artistico sia la game designer, ma immagino che sia così che succede nella maggior parte degli studi indie: più si ingrandiscono, più ognuno si specializza. Ma all’inizio siamo tutti “multitasking“, diciamo.


Molto interessante, anche per i lettori che volessero approcciarsi  al mondo dello sviluppo di videogiochi.
Melania, alla presentazione dello Svilupparty di Bologna 2023, hai sottolineato come ci sia tanto Giappone nel gioco e come vogliate puntare su una “grafica che spacca”. In un certo senso, si potrebbe dire che il vostro progetto è simile per intenzioni ad altre rappresentazioni del Giappone o dell’Asia fatte da persone non asiatiche, come Ghost of Tsushima o gli anime Avatar: la leggenda di Aang e Avatar: La leggenda di Korra. Avete preso spunto dagli approcci di questi prodotti o prodotti simili? O è stato un procedimento completamente dal basso verso l’alto?


– Sicuramente un approccio personale. All’epoca né io né Daniele avevamo pensato a prendere spunto da situazioni simili, in cui si prende la cultura del Giappone e la si cerca di capire. La abbiamo semplicemente trovata ideale per quello che volevamo dire noi. Però  abbiamo voluto essere molto chiari su questo aspetto: la cultura giapponese per noi è stata una grande fonte di ispirazione, ma Ryoko non ha la pretesa di essere una ricostruzione come Ghost of Tsushima.

Le suggestive ambientazioni del gioco. Immagine in esclusiva per gentile concessione dello Studio Kodama.

Gli sviluppatori hanno fatto un lavoro meraviglioso e secondo me il loro lavoro si può leggere come un grande tributo a quella cultura. Quello che facciamo noi è usare delle parti di cultura giapponese per raccontare una storia che abbiamo vissuto in prima persona. Abbiamo preso in prestito alcuni elementi perché ci siamo trovati affini ad alcuni concetti spirituali del Giappone. Durante lo sviluppo ci siamo poi resi conto che entra in gioco la questione del rispetto: ci sono certe culture che funzionano in un certo modo per certi motivi, noi non possiamo pensare di prendere determinati elementi culturali e inserirli in altri contesti con il rischio di minimizzarli o ridicolizzarli. La nostra ricerca sulla cultura giapponese nasce anche dalla volontà di avere un approccio gentile, così da avere un ponte tra quella cultura e come noi personalmente la sentiamo.


A questo proposito, una cosa molto particolare che si nota dal trailer è la funzione dei portali torii nel gameplay, che come nelle credenze Shintō sono i portali per accedere al mondo degli spiriti. Si tratta di una dinamica di gioco molto interessante inserita in questo contesto. Dov’è nato l’interesse per la questione passaggio mondo fisico/mondo spirituale nella cultura giapponese?


– Questa è una storia interessante. All’inizio del processo creativo, quello dove si mettono tutte le carte in tavola e si valutano tutte le opzioni, guardavamo molta arte giapponese per ispirarci, visto che volevamo puntare molto sulla questione estetica. Guardando delle stampe di Utagawa Hiroshige, per me il migliore incisore giapponese insieme ad Hokusai, abbiamo notato questi portali. Inizialmente credevo si trattasse di elementi puramente decorativi.

Un esempio dell'influenza estetica dell'arte giapponese nel gioco. Immagine in esclusiva per gentile concessione dello studio Kodama.

Un esempio dell’influenza estetica dell’arte giapponese nel gioco. Immagine in esclusiva per gentile concessione dello studio Kodama.

Proseguendo nella ricerca ho capito un po’ meglio il loro significato e li ho trovati perfetti per il tema principale del gioco, ossia il ripristino dell’equilibrio tra quello che uno vuole fare e le opportunità del qui ed ora. Un passo avanti verso il mondo degli spiriti, l’atteggiamento di chi vuole essere un individuo che si inserisce nel mondo spirituale ha reso l’elemento dei torii una chiave. Nonostante sia diventato anche oggetto di discussione all’interno della produzione, perché risultava poco funzionale in alcune sezioni del gioco, ho insistito perché fosse il modo di passare dal mondo fisico al mondo degli spiriti.

Volevo restituire al giocatore il passaggio che sente Ryoko quando passa dalla realtà concreta alla realtà del mondo interiore. Volevo che il giocatore interiorizzasse questo passaggio con un segno inequivocabile: il torii si è dimostrato perfetto per questo tipo di restituzione.


Ho un’ultima domanda Melania: Durante l’intervista è molto evidente che il vostro studio tenga molto al messaggio che il gioco passa al giocatore. Il fatto che Ryoko sia un platform che presenta delle sezioni puzzle è molto interessante, visto che i puzzle sono spesso associati a delle regole rigide: solitamente c’è un solo modo di risolvere un puzzle in un gioco, no? Il fatto che la trama Ryoko riguardi la dicotomia tra le regole ferree del mondo reale e la necessità di riscoprire la spiritualità al di là di queste regole rende il puzzle una modalità interessante di sfida alla convenzione. Ti va di spiegarci meglio questo aspetto?


– Non mi hanno mai fatto questa domanda, ma la trovo molto interessante! Il gioco è principalmente un platform ad essere onesta, nel quale all’inizio la parte umana è molto più forte di quella spirituale. Abbiamo voluto inserire dei puzzle soltanto all’interno dei templi come modalità per fare ottenere nuovi poteri spirituali a Ryoko.

Il messaggio di questa meccanica è, nelle nostre intenzioni, il fatto che la presenza di puzzle nel mondo spirituale serve per conciliare due aspetti per il giocatore: il primo è che se vuoi scavare nella tua interiorità devi dedicarci del tempo e delle energie, esattamente come un puzzle è un processo che richiede tempo. In seconda battuta è il fatto che dovrebbe essere un percorso che è sia una salita che una discesa. Nel gioco tu sali spiritualmente ma è un percorso interiore, una discesa nella propria interiorità. È un gioco che deve intrigare ma che ha lo scopo di far immergere il giocatore nella propria interiorità. Questo secondo noi è un po’ come risolvere un puzzle: cosa succederà una volta che lo avrò risolto? Quale incognita mi aspetta? Queste sono le motivazioni per cui abbiamo deciso che nei luoghi più sacri del gioco, i templi, il giocatore si cimenti nell’atto di risolvere un puzzle.

Potete trovare lo Studio Kodama e scoprire l’avventura di Ryoko all’Indie Dungeon della Milano Games Week , dal 24 al 26 Novembre 2023!

#INBREVE

Intervista Studio Kodama

Abbiamo intervistato Melania Ugolini, co-founder dello studio di sviluppo di videogiochi indipendente Studio Kodama. Abbiamo parlato del loro nuovo progetto, Ryoko, e abbiamo approfondito i temi della rappresentazione del Giappone, della spiritualità, del processo di sviluppo e dell’importanza della narrazione.

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