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Naruto e la banalità del male

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La filosofia incontra il fumetto e la Arendt ci permette di dare nuova vita ad un’opera importantissima nel panorama del manga degli ultimi vent’anni.

Lo scorso anno ne abbiamo festeggiato il ventesimo anniversario e Naruto, l’acclamato manga creato da Masashi Kishimoto da cui poi nasce l’omonimo anime, rimane una delle pietre miliari dell’animazione giapponese. Parliamo di un vasto e intricato universo popolato da personaggi complessi e dalla trama ricca di emozioni. Mentre la storia si concentra sulla lotta tra il bene e il male, ci soffermiamo su un tema che emerge tra le righe: la “banalità del male“.

Hannah Arendt

Hannah Arendt

Questo concetto filosofico, introdotto da Hannah Arendt nel suo lavoro sul processo di Adolf Eichmann, suggerisce che l’immoralità può sorgere da azioni ordinarie di individui comuni. Un concetto che ritroviamo spesso nell’opera di Kishimoto, dove non è raro comprendere le ragioni dei cattivi provando un senso di empatia nei loro confronti.

L’opera presenta un universo in cui la distinzione tra bene e male non è sempre chiara. Molti personaggi, sia eroi che antagonisti, sfidano la nozione di moralità assoluta. Sasuke Uchiha, ad esempio, è un personaggio complesso che oscilla tra la giustizia e l’oscurità. Inizialmente, il suo desiderio di vendetta nei confronti del fratello maggiore Itachi Uchiha lo porta a compiere azioni malvage. Tuttavia, nel corso della trama, Sasuke attraversa un percorso di redenzione, portando il lettore (o lo spettatore) a riflettere sulla natura ambigua dell’essere umano, a interrogarsi se la vendetta sia giusta e giustificata, a indagare la natura delle azioni compiute dal fratello il quale, a sua volta, si è a lungo soffermato sulla scelta che si è trovato obbligato a compiere. Parliamo dello sterminio del suo stesso clan, dell’omicidio di decine di persone, famigliari, genitori e persino del suo amore adolescenziale. Il tutto per un bene superiore – l’integrità del Villaggio intero e il futuro del suo fratellino Sasuke.


L’effetto ombra


La storia presenta una serie di villain che esemplificano la banalità del male. Un esempio significativo è Orochimaru, un ninja estremamente potente ma moralmente corrotto. Orochimaru si concentra sulla ricerca dell’immortalità e si abbandona alle pratiche oscure della scienza proibita. La sua ambizione smisurata e la mancanza di empatia per gli altri sono rappresentazioni dell’ombra nella natura umana.

Allo stesso modo, Pain, il leader dell’organizzazione criminale Akatsuki, crede di portare la pace attraverso il dolore e la sofferenza. La convinzione fanatica nella sua causa illustra come anche le ideologie distorte possano alimentare la banalità del male. Anch’egli è una persona dal passato difficile, intriso di sogni che per eventi al di fuori della sua portata si sono frantumati. La perdita di un amico caro, il dolore nato da essa e la sofferenza hanno accompagnato il personaggio lungo la crescita, portandolo ad essere uno dei Villain più iconici dell’opera. Si può dire che Pain sia il personaggio che più rappresenta l’idea che al male si reagisce in due modi: contrastandolo o abbracciandolo.

Nagato e Pain

Tobi: per molti un sempliciotto, un membro dell’organizzazione Akatsuki ma che con lo sfogliare delle pagine del manga ci rendiamo conto essere uno dei personaggi più profondi dell’opera. Scopriamo che “Tobi” non è il suo vero nome, a copertura di quello che è in realtà il nome di un personaggio che di dolore ne ha subito molto, riversandolo poi sul mondo intero pieno di rancore e odio per quello che gli è successo. Parliamo di Obito, un giovane Uchiha che ha provato il primo amore per una coetanea compagna di squadra, Rin. Un amore puro, candido come solo quello dei bambini può essere. Un amore innocente, che può riempire ma che se portato via lascia un buco immenso. Dopo la morte di Rin, Obito abbraccia il dolore tuffandosi nell’oscurità, pieno di rancore nei confronti di coloro che gli hanno portato via tutto ciò che riempiva il suo cuore. Con il fine di ricreare un modo illusorio in cui potesse riabbracciare la sua Rin, Obito è pronto a far guerra al mondo intero.


La trasformazione personale come antidoto


Nonostante l’ombra presente nella natura umana, in Naruto siamo spettatori passivi della trasformazione personale come antidoto alla banalità del male. Ad ogni zona d’ombra c’è sempre un raggio di luce che rischiara il cammino. Per ogni Villain c’è sempre un eroe pronto a riequilibrare la storia. E qui introduciamo il protagonista, Naruto Uzumaki, che trascorre i suoi primi anni di vita come un bambino indisciplinato e solitario. Racchiude dentro di sé Kurama, la volpe a nove code, quella che ci viene presentata inizialmente come l’incarnazione del male. Un potere tanto forte quanto temuto che porta il proprio portatore ad essere isolato e schernito da tutto il villaggio. Nel corso dei 72 volumi del manga però, Naruto cresce e non si lascia abbandonare al male, lo contrasta diventando a poco a poco un ninja potente e compassionevole. La sua volontà di credere nel bene degli altri e il suo impegno a superare i limiti imposti dalla società dimostrano come sia possibile combattere l’oscurità interiore e abbracciare la luce.


Le conseguenze dell’indifferenza


Così come nello studio di Hannah Arendt, anche in Naruto l’indifferenza delle persone comuni di fronte all’ingiustizia gioca un ruolo chiave. Il villaggio di Konoha, per esempio, ha sofferto a causa delle manovre politiche e delle azioni oscure dei suoi stessi abitanti. L’omicidio di clan interi, come il clan Uchiha, viene perpetrato da individui che potrebbero sembrare ordinari, degli attori nella vita di tutti i giorni. Questi eventi sottolineano come il male possa insinuarsi in modo sottile e impercettibile nella società, mentre le persone comuni scelgono di non agire o di rimanere ignoranti.

Sasuke e Itachi

In conclusione, la banalità del male è un tema ricorrente e complesso in Naruto. La serie presenta personaggi che incapsulano la dualità del bene e del male, evidenziando l’ombra presente nella natura umana. Gli antagonisti, come Orochimaru e Pain, incarnano la banalità del male attraverso la loro sete di potere, mancanza di empatia e ideologie distorte. Tuttavia, Naruto stesso rappresenta la speranza nella trasformazione personale come antidoto a questa oscurità interiore. Attraverso la sua storia, siamo invitati a riflettere sulla nostra stessa natura e sulla nostra capacità di abbracciare la luce nonostante le tentazioni dell’oscurità. Kishimoto ci ricorda che la lotta tra il bene e il male non è solo esterna, ma una battaglia che tutti affrontiamo dentro di noi.

Cresciuto sulle ginocchia di papà davanti a Turok e Tomb Raider. Ambizioso sognatore, promotore di storie. Grazie ai videogiochi ho vissuto milioni di vite. Grazie a manga e anime ne sono stato spettatore.

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