Belle – Recensione: La Bella e la Bestia ai tempi dei social network
Belle di Mamoru Hosoda rielabora la fiaba de La bella e la bestia in salsa contemporanea con un occhio al futuro.
Se dovessi indicare una sola opera più identificativa – e in qualche modo persino profetica – dell’epoca dominata dai social network sceglierei senza remore Belle (Ryū to Sobakasu no Hime, letteralmente La Principessa lentigginosa e il Drago), il lisergico carosello virtuale ed emozionale firmato da uno degli animatori più influenti dell’ultimo decennio, Mamoru Hosoda.
Il lungometraggio è stato accolto con una standing ovation della durata di all’incirca 14 minuti al Festival di Cannes; per chi è poco avvezzo alle abitudini da kermesse cinematografica è bene sottolineare che la durata degli applausi è considerato un termometro piuttosto valido dell’apprezzamento di un film a caldo.
Il quarto film dello Studio Chizu – fondato dallo stesso Mamoru Hosoda nel 2011 – è stato distribuito nelle sale italiane da Anime Factory, in collaborazione con I Wonder Pictures.
Compresa la portata mediatica di Belle, si può procedere ad approfondire di cosa parla l’ultima opera di uno dei più importanti animatori nipponici dell’ultimo decennio.
Crescere ai tempi dei social network
Prima di proseguire nell’analisi tematica – il corpo vivo del testo, quello che fornisce una dimostrazione alla dichiarazione del primo paragrafo – è bene fornire un abbozzo della trama; chi teme gli spoiler può dormire sogni tranquilli e procedere nella lettura sereno, lo scritto mira ad essere quanto più possibile scevro di dettagli che possono depauperare la gradevolezza di una prima visione.
“Belle” è l’alter ego virtuale di Suzu, una diciassettenne timida, impacciata, dall’aspetto comune. Come ogni eroe che si rispetti – noi fan di manga e anime conosciamo bene questo topos – è orfana, la perdita della madre in giovane età ha influito notevolmente sulle sue interazioni sociali e l’ha inibita in quello che è il suo talento: il canto.
Il social network in cui Suzu diventa Belle però non è Instagram o TikTok ma [U], una sorta di metaverso perfezionato e a portata di tutti, in cui gli avatar vengono generati tramite decodificazione dei caratteri biometrici dell’utente.
L’anonima Suzu, aka Belle, protetta dall’anonimato, affascina il mondo virtuale con la sua splendida voce: surfa sulla grande onda elettromagnetica della fama, in balia delle correnti incostanti che animano la psicologia delle masse, conosce un individuo misterioso con un avatar dalle sembianze di un drago mostruoso, facilmente identificabile con il villain – o forse sarebbe meglio dire capro espiatorio – del grande mondo di [U].
La Bella e la Bestia: il riferimento al capolavoro Disney e la volontà di fornirgli una dimensione contemporanea sono espliciti, ma i presupposti su cui si basa la narrazione che si articola sui due personaggi ha più a che vedere con la pietas di retaggio latino che con un sentimento di tipo amoroso.
Il legame con Disney non è solo di natura tematica: Jim Kim, artista veterano della Disney, ha ideato il design di Belle, inteso avatar della protagonista.
Città virtuali, periferie reali
Non è la prima volta che Hosoda si lascia affascinare dai mondi virtuali, vedasi Summer Wars e Digimon: Our War Game; così come non basterebbero mille caratteri solo per elencare tutte le opere giapponesi che ruotano attorno a questo tema: mi limito a citarne due diametralmente opposte per target e toni, Sword Art Online e Serial Experiment Lain.
È evidente che il progresso tecnologico sia fondamentale per lo sviluppo economico giapponese; inoltre in una società fortemente improntata su quella che in antropologia culturale è definita cultura della colpa è facile che nell’espressione artistica prevalgano forme estreme di escapismo.
Nel mondo anime esiste proprio un genere a definire la narrazione in mondi paralleli non solo a tema futuristico, cioé l’isekai, genere a cui è ascrivibile anche lo stesso Belle.
La realtà virtuale rappresenta per Suzu una possibilità concreta di indossare una maschera per riappropriarsi della propria identità.
Spesso le opere che trattano le possibilità della tecnologia tendono a sottolinearne gli aspetti negativi, anche con tono morbosamente catastrofista; nel caso di Belle vengono fuori anche i meriti dell’esposizione ai social network.
[U] inoltre permette di espandere le proprie sfere di interazione; Suzu infatti vive in una bucolica cittadina di campagna, tanto pacifica quanto poco stimolante, in cui la gioventù in un certo senso fatica a trovare il proprio posto.
Ancora una volta in un’opera di Hosoda emerge il conflitto generazionale, che non è spigoloso e aggressivo, ma smussato e ineluttabile, una vaga e placida incomunicabilità tra le parti il cui superamento funge da catalizzatore per il processo di crescita.
Il suo rapporto con il mostro inoltre si riversa nella vita reale, permettendole di scovare – senza scendere nei dettagli – un grave caso di abuso domestico.
Ciò che emerge è la netta urgenza di smettere di scindere il mondo virtuale da quello reale, poiché confluiscono l’uno nell’altro, soprattutto per le generazioni più giovani per cui i social network sono prolungamento del sé.
È evidente che in [U], complice anche un comodo e rassicurante anonimato, amplifica le idiosincrasie, i meriti e le contraddizioni degli utenti: il pubblico è ancora più vorace, bulimico di intrattenimento, la libertà in una realtà virtuale dalle possibilità infinite finisce per auto-limitarsi tramite l’abuso di potere di una cricca di iscritti che si autoproclamano vigilanti.
L’empatia però rimane sempre e comunque la chiave di accesso a qualsiasi mondo, alla città e alla campagna, in una scuola di provincia o in un caleidoscopico e roboante palcoscenico virtuale: Suzu e i suoi amici sono ragazzini, ma lo comprendono.
In Belle è un tracciato inoltre un ritratto della protagonista squisitamente femminile, senza essere in questo aspetto mai forzato, esagerato o parodistico.
Hosoda dunque ci comunica le proprie intenzioni soprattutto tramite le scelte estetiche; la prima e più evidente è l’utilizzo misto di CGI e animazione tradizionale, la prima prevale nelle scene in [U] e la seconda nel mondo reale.
Nella lavorazione dell’iper-lisergico e brulicante mondo di [U] hanno contribuito professionisti di spicco: l’architetto e designer britannico Eric Wong ha creato [U], mentre i registi Tomm Moore e Ross Stewart di Cartoon Saloon (Song of the Sea, The Secret of Kells e Wolfwalkers) hanno collaborato alla scenografia.
Se nel mondo virtuale i fotogrammi esondano di preziosi dettagli, nel mondo reale Hosoda ripropone alcune dei suoi feticci artistici come i fiumi, i treni, l’estate, ma soprattutto i grandi spazi vuoti e i quadri fissi in netta contrapposizione non solo con [U] ma anche con i tumulti interiori che animano la Bella e la Bestia ai tempi dei social network.
Una riflessione sul futuro a ritmo di musica
Belle di Mamoru Hosoda racconta una verità a volte poco chiara in quello che è il dibattito contemporaneo sulle nuove tecnologie, ma incontrovertibile: qualsiasi tentativo di definire internet tramite una legge morale è destinato a tonfare. I social network sono luogo di aggregazione, tramite cui gli utenti creano una maschera che permette a chi è più timido di esporsi, a chi riversa le frustrazioni nel bullismo di essere ancora più feroce, a chi ha bisogno di aiuto di poterlo cercare a modo proprio.
I social network sono una mezzo per l’escapismo, ma anche proiezione della realtà. In questo senso seppur il film pecchi di originalità nel raccontare la quotidianità di Suzu – gli stereotipi sulla vita di liceale sono tanto confortevoli quanto prevedibili – si risolleva nella trattazione di un tema così delicato, pulsante nel dibattito pubblico, fondamentale per interpretare il futuro.
Al contrario la qualità eccelsa dell’animazione tradizionale a cui Hosoda ci ha abituati nei film precedenti si riconferma anche nel suo ultimo lungometraggio, mentre le scene in CGI non risultano sempre fluide, seppur sontuose; è plausibile che sia una scelta volontaria per sottolineare l’inconsistenza intrinseca della realtà virtuale.
Ultimo ma non importante è il comparto musicale; a dare la voce a Belle è Kaho Nakamura, cantautrice giapponese di appena trent’anni con una voce limpida e delicata, mentre della soundtrack si sono occupati Taisei Iwasaki (Dragon Pilot, Spriggun, Blood Blockade Battlefront), Yuta Bandoh, Ludvid Forsell, celebre soprattutto per aver lavorato nella Kojima Productions ed aver contribuito al comparto audio di Metal Gear Solid V The Phantom Pain e Death Stranding.
I testi delle canzoni si dividono tra il giapponese e l’inglese: ancora una volta una scelta che ribadisce la congiunzione tra la tradizione e la modernità, rappresentata dalla scelta della lingua più parlata al mondo.
Il lungometraggio dura poco più di due ore, ma il ritmo sincopato della narrazione e la ricchezza delle animazioni permette allo spettatore di non subire la durata, ma altresì di farsi trascinare in un mondo affascinante e magnetico per tutta la durata della sua storia.
In chiusura, vi lasciamo ad alcuni altri interessanti articoli, come la nostra recensione della prima stagione di Tokyo Revengers, e la recensione dello speciale dello Studio Ghibli di Star Wars Zen — Grogu and Dust Bunnies.
#INBREVE
BELLE IN BREVE: UN'OPERA SOSPESA TRA DUE MONDI
Belle è un film di animazione del 2021 scritto e diretto da Mamoru Hosoda, un autore ormai affermato nel panorama anime. Il lungometraggio propone una versione rivisitata de La Bella e la Bestia e racconta la storia di Suzu, una liceale timida e impacciata, che riuscirà a esprimere il proprio talento canoro tramite un alter-ego virtuale che si chiama Belle. L’opera è divisa tra due realtà: un paese in periferia e il mondo virtuale di [U], un social network in cui gli avatar vengono generati tramite decodificazione dei caratteri biometrici dell’utente; la distinzione tra le linee narrative viene suggellata dall’alternanza tra animazione tradizionale e CGI, per un prodotto che convince per la sua capacità di unire passato e presente dell’industria anime in un connubio frizzante e magico.
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