#Justkilling: un fumetto che ti punta contro e non abbassa mai l’arma

C’è un momento preciso, leggendo #Justkilling, in cui ti rendi conto che il brivido non arriva dalle pistole fumanti o dalle lame ben affilate: arriva quando la pagina ti guarda, ti giudica e tu capisci che non stai leggendo una semplice storia con al centro i Killer. Stai leggendo la tua di storia, la nostra, quella di una società che si si diverte a contare i “cadaveri” (in senso metaforico) e i like.
Pubblicato da Star Comics, scritto da Giacomo Bevilacqua e Giulio Antonio Gualtieri, con i disegni taglienti, ispirati e brillanti di Vincenzo Puglia, #Justkilling è molto più di una graphic novel pulp. È un colpo basso al diaframma dell’era digitale. È un futuro distopico che sembra già l’oggi – solo con meccaniche diverse e forme di espressione che ancora non hanno raggiunto il livello di questa bellissima storia.
Gli autori ci catapultano in un mondo in cui la violenza è diventata un gioco regolato da un social network clandestino, chiamato proprio #Justkilling. Il funzionamento è tanto semplice quanto brutale: ogni utente riceve un bersaglio assegnato dal sistema, e chi riesce a ucciderlo guadagna prestigio, visibilità e, soprattutto, l’immunità totale per i crimini commessi all’interno del gioco. Non ci sono limiti, non ci sono leggi – finché l’omicidio avviene secondo le regole, tutto è concesso.
La storia segue il Perfezionista, un killer solitario e preciso, noto per portare a termine ogni incarico con metodo chirurgico. La sua routine cambia quando si ritrova costretto a collaborare con J., una giovane assassina dal temperamento opposto: impulsiva, caotica, ma altrettanto letale. Insieme devono affrontare una nuova missione che si rivelerà più complessa del previsto, in un contesto in cui la spettacolarizzazione della violenza ha sostituito ogni forma di etica e di giustizia.
La regola del gioco: uccidi, posta, vinci
A rendere tutto ancora più disturbante è il sistema dei “malus”: una regola crudele che, a partire dal quinto omicidio, impone a ogni giocatore una penalità casuale e spesso invalidante. Questi malus possono compromettere le capacità fisiche, psicologiche o logistiche dell’assassino, creando un effetto domino che trasforma ogni uccisione successiva in un azzardo sempre più pericoloso. Non è solo un espediente narrativo brillante, ma è anche una crudele allegoria sulla saturazione emotiva, sull’usura del trauma, sull’impossibilità di restare “freddi” di fronte alla violenza reiterata.

Dentro questo meccanismo contorto prende forma un legame esplosivo tra due estremi: da un lato, la freddezza metodica; dall’altro, l’istinto crudo e imprevedibile. La dinamica tra i due personaggi, che rovescia lo schema classico del mentore e dell’allievo, non è solo originale: è corrosiva, instabile, esplosiva.
Il cuore della storia pulsa proprio nella tensione tra due visioni del mondo e della morte. Ma ciò che colpisce davvero è come il sistema dei malus costringa anche il lettore a uscire dalla comfort zone: non si tratta più di “tifare per il cattivo”, ma di interrogarci sul senso stesso della disumanizzazione e del prezzo dell’intrattenimento. Una critica lucida e feroce, che non assolve nessuno, nemmeno chi guarda.
L’estetica della “disumanizzazione”
Il lavoro di Vincenzo Puglia ai disegni è semplicemente magistrale. Le sue tavole non raccontano, sanguinano. Sono ferite aperte che mescolano lucidità tecnica e febbre emotiva, dove ogni tratto sembra vibrare di tensione compressa. Non c’è nulla di superfluo, ma tutto è eccessivo — in modo voluto, programmatico. I colori saturi non servono solo a rendere più vivido il mondo di #Justkilling: sono parte integrante del tono, dell’atmosfera, quasi una voce narrante parallela. La loro innaturale intensità riflette lo squilibrio morale dell’universo che descrivono, in cui la violenza è spettacolo e lo spettacolo è anestesia.
Le composizioni delle tavole sono studiate al millimetro per manipolare il tempo della lettura. Puglia alterna montaggi serrati da videoclip a sequenze rarefatte, che si dilatano nel bianco della pagina come un respiro trattenuto troppo a lungo. C’è una sapienza registica evidente: sa quando serve far esplodere tutto in una doppia splash page e quando, invece, basta una vignetta muta, un dettaglio — un’espressione, una lama, un bicchiere incrinato — per far tremare tutto il quadro.
Ma è nei silenzi che si gioca la partita più sottile. Quei momenti in cui l’azione si ferma e resta solo un’ombra, uno sguardo storto, una finestra troppo buia. È lì che emerge la critica più feroce dell’opera: lo spettatore moderno, quello reale, è parte del meccanismo. Non possiamo più distinguere il gesto gratuito da quello necessario, l’intrattenimento dalla brutalità. E Puglia, con la sua matita spietata e i suoi colori disturbanti, ce lo sbatte in faccia senza mediazioni. Non ci offre mai il tempo per rilassarci. Perché, in fondo, non se lo merita nemmeno chi guarda.

#Justkilling: due sceneggiatori davvero brillanti
La scrittura di Bevilacqua e Gualtieri è chirurgica e vibrante. Non c’è nulla di superfluo, nulla di morbido. Ogni battuta è una scheggia, ogni dialogo un duello. Il tono è satirico, disilluso, ma mai gratuito. Anche quando la storia si muove in territori pulp, non c’è compiacimento: c’è un’urgenza comunicativa, una voglia disperata di dire qualcosa sul nostro modo di vivere – e morire – oggi.
Il Perfezionista e J. non sono eroi, né antieroi. Sono specchi deformanti, riflessi delle nostre contraddizioni. In loro si annidano tutte le ambiguità di una società che applaude chi uccide se lo fa con stile. La loro relazione, tesa e imprevedibile, è il motore emotivo del fumetto, ma anche la sua trappola morale: più impari a conoscerli, più ti scopri complice.
#Justkilling è una metafora spietata della nostra ossessione per i social network. Non è un’accusa generica al “web cattivo”: è un’analisi chirurgica di come la cultura della performance e della visibilità abbia eroso la nostra empatia. Il fumetto ci mostra un mondo dove tutto è contenuto, dove il dolore è una merce, dove la morte è solo una notifica in più da scrollare.
Ma la cosa più disturbante è che questo mondo non è inventato. L’algoritmo che premia la crudeltà non è poi così lontano dai trend che governano oggi le nostre piattaforme. E #Justkilling ce lo urla addosso senza pietà.

Tra Tarantino e i manga anni ottanta
Le influenze sono evidenti, ma mai invadenti. C’è l’eleganza spietata di Léon, il sadismo spettacolare di Squid Game, il caos narrativo di Tarantino, il ritmo forsennato dei manga anni ’80. Ma c’è anche un gusto tutto italiano per l’ironia tagliente, per il non detto, per la tragedia mascherata da farsa.
Anche le citazioni musicali – Onyx, Wu Tang Clan – contribuiscono a creare un’atmosfera urbana, rabbiosa, elettrica. È un’opera che si muove con sicurezza tra generi e toni, senza mai perdere la sua identità. E senza mai smettere di pungere.

La violenza in #Justkilling non è fine a sé stessa. È una lingua nuova, cruda, necessaria per sopravvivere in un mondo dove parlare non serve più. Ogni morte diventa una dichiarazione, un gesto performativo, un atto sociale. È questa la vera perversione: non uccidere per soldi o vendetta, ma per essere visti, riconosciuti, idolatrati.
Il fumetto ti costringe a guardare questa logica negli occhi, a smontarla pezzo per pezzo. E nel farlo, mostra quanto sia sottile il confine tra chi commette il crimine e chi lo guarda senza battere ciglio.
Non c’è mai un momento in cui #Justkilling ti fa sentire al sicuro. Anche nelle scene più spettacolari, anche nei rari momenti di tenerezza tra i protagonisti, c’è sempre una tensione sotterranea, una promessa di dolore. L’estetica non serve a tranquillizzare, ma a inquietare. Ogni scelta visiva è funzionale a un messaggio: non voltarti, guarda tutto, anche quello che non vuoi vedere. Il risultato è una lettura che ti lascia scosso. Non perché ti ha scioccato, ma perché ti ha fatto pensare. E oggi, in un mondo saturo di immagini che ci scivolano addosso, questo è un piccolo miracolo.


#Justkilling: un finale che chiude il cerchio, ma scava nel profondo
Il finale di #Justkilling non chiude, apre. Non offre certezze, non redime. È una cesura improvvisa, lasciata sospesa tra due respiri. Niente giustizia servita, nessuna morale da incorniciare. Solo una vertigine, la sensazione disturbante di essere parte di un sistema che pensavi solo di osservare.
Quando volti l’ultima pagina, qualcosa rimane addosso. Guardi il telefono, scorri, leggi. E ti accorgi che #Justkilling non è solo una storia: è una lente distorta, ma non troppo, sulla realtà. Un virus narrativo, silenzioso e persistente.
Bevilacqua e Gualtieri non cercano di confortare il lettore. Vogliono scuotere, spingere a interrogarsi. #Justkilling non si limita a intrattenere: inietta domande, erode certezze, resta lì — anche quando tutto il resto scivola via.
#INBREVE
Un’opera dannatamente attuale
“#Justkilling” è un thriller distopico ambientato in un futuro prossimo dove la società è ossessionata dai social network e dalla spettacolarizzazione della violenza. Un social clandestino permette agli utenti di ottenere l’immunità assoluta uccidendo bersagli designati, in un gioco perverso di visibilità e morte. Il Perfezionista, un killer metodico e solitario, è costretto a collaborare con J., una giovane assassina impulsiva e ribelle. Tra missioni brutali e una riflessione sempre più cupa sul potere dei media e la perdita di umanità, il fumetto esplora temi come la giustizia, l’identità e lo scontro generazionale, in un mondo in cui uccidere è diventato intrattenimento.
Spero vi piacciano le mie "scribacchiate".