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Re/Member, la recensione del film live action J-Horror Netflix: un’occasione sprecata?

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Re/Member Recensione Film Copertina
Uscito il 14 febbraio 2023, l’adattamento Netflix dell’omonimo manga non riesce a convincere completamente, nonostante le buone premesse.

Senza dubbio, uno dei franchise giapponesi dell’orrore più popolari degli ultimi anni è Karada Sagashi. L’opera originale, che in Italia è conosciuta altresì con il nome di Re/Member e pubblicata per opera di J-Pop tra il 2016 e il 2019 (spin-off Unravel compreso), ha riscosso un notevole successo, tanto da essere considerata tra i migliori manga J-Horror della storia recente.

Originariamente ideata dallo scrittore Welzard e illustrata da Katsutoshi Murase, Karada Sagashi ha ricevuto svariati adattamenti cartacei, come, per esempio, l’appena concluso Karada Sagashi Different. E se in Giappone il manga continua a vendere grazie alle nuove storie pubblicate, nel resto del mondo ci ha pensato Netflix a far tornare in auge la serie.

La nota piattaforma streaming, infatti, ha pubblicato in data 14 febbraio 2023 il film live action Re/Member, diretto da Eiichirō Hasumi e prodotto dalla stessa Netflix, cavalcando l’onda di trasposizioni di manga, webtoon e manwha nata grazie a lavori come Alice in Borderland, per poi proseguire con serie di successo quali Non siamo più vivi e Sweet Home. Tuttavia, non sempre questi adattamenti hanno saputo rispettare le aspettative dei fan e, per questo motivo, anche la stessa pellicola di Hasumi era stata accolta tiepidamente in seguito all’annuncio.

Tra curiosità e ragionevoli timori, cosa ne pensiamo del film di Re/Member? Si tratta di un buon prodotto? Scopriamolo insieme con la nostra recensione.


Un male inestinguibile


La trama di Re/Member segue le vicende della protagonista Asuka Morisaki, una giovane liceale introversa e senza amici che, evitata da tutti, passa le giornate isolata nella sua classe.

Re/Member studentiUna notte – precisamente tra il 5 e il 6 luglio – Asuka e alcuni dei suoi compagni, ovvero Takahiro Ise, Rumiko Hiiragi, Atsushi Kiyomiya, Shota Uranishi e Rie Naruto, vengono trasportati all’interno della loro scuola, senza un apparente motivo. Di lì a poco, i ragazzi scoprono che una presenza oscura vuole attentare alle loro vite, e uno a uno gli studenti vengono uccisi dalla misteriosa creatura.

Asuka si ritrova così di nuovo nel suo letto, la mattina del 5 luglio, e da quel momento la liceale e i suoi compagni si ritrovano in un infinito loop dal quale potranno uscire soltanto dopo aver risolto il mistero della bambina che ha chiesto loro di “ritrovare il suo corpo”, mettendo fine a una maledizione che dura da decenni.

La narrazione del film di Karada Sagashi non è delle più originali: negli ultimi anni, abbiamo assistito a una lunghissima lista di lavori basati sul cliché dei loop temporali, ultima tra tutte la serie di film teen horror iniziata con Auguri per la tua morte.

Ciò che tuttavia ci ha colpiti, almeno nella fase iniziale, è l’espediente narrativo che fa iniziare le infinite ripetizioni. Piuttosto insolita risulta, infatti, la scelta di utilizzare una ricerca (quasi considerabile come una vera e propria quest videoludica) per costringere i protagonisti a rivivere continuamente lo stesso trauma, come se essi stessi dovessero crescere nel corso della trama, fare esperienza per diventare più abili e riuscire a sconfiggere definitivamente il villain di turno.

Per questo motivo, la prima mezz’ora di pellicola sorprende lo spettatore: il ritmo è serrato e, a volte, il regista sembra voler “strizzare l’occhio” agli spettatori più avvezzi ai film horror attraverso alcune scene “meta“. Persino l’idea che i personaggi debbano vivere un costante bad ending prima di poter aver salva la vita è interessante e promettente.

I problemi del film sorgono però nel momento in cui la trama non riesce più a uscire dai limiti che si è autoimposta. Se, infatti, nella sua prima parte la narrazione scorre bene (e, a tratti, fin troppo velocemente), l’aver deciso consapevolmente di non rallentare il ritmo e di non presentare in modo adeguato i personaggi rende la seconda metà oltremodo lenta, soprattutto dopo essere giunti con il fiatone dalle scene iniziali, così dinamiche e senza respiro.

Asuka si nascondeLa cattiva gestione del ritmo deriva da una scrittura che sembra costantemente viaggiare a due velocità. La storia della Persona Rossa e il mistero legato alla giovane bambina scomparsa è frettoloso, perciò lo spettatore non riceve spiegazioni adeguate; i protagonisti, inoltre, accettano senza troppe domande le “regole di un gioco” che, peraltro, non ci vengono mai spiegate; d’altro canto, l’approfondimento delle relazioni del gruppo – seppur interessante – occupa troppo spazio rispetto alla presentazione singola dei personaggi e dei loro problemi.

L’obiettivo del film di Hasumi sarebbe quello di mostrare i ragazzi attirati in questo gioco mortale come delle persone sole e con un vuoto dentro da colmare; tuttavia, il progresso dell’intreccio non riesce in alcun modo a comunicare la solitudine dei giovani studenti. Il tema principale di Re/Member potrebbe essere davvero profondo e interessante (basti pensare alla storia di Shota), ma il modo in cui viene presentato è talmente didascalico che allo spettatore riesce difficile empatizzare con dei ragazzi di cui non sappiamo nulla se non quello che ci viene detto esplicitamente, non assistendo mai, inoltre, a scene in grado di legarci agli eroi della storia.

Come se non bastasse, un’altra grossa problematica è da riscontrare nella scelta di trasformare il film da classico J-Horror a opera di formazione, senza tuttavia una vera e propria transizione. Anche in questo caso, l’intento dell’autore era chiaro e persino apprezzabile: gli studenti, con il tempo, si accorgono che quello che stanno vivendo non è necessariamente un incubo, ma un’occasione per sconfiggere i propri demoni interiori, crescere e imparare ad apprezzare il prossimo.

Storie del genere sono sempre state in grado di emozionarci e colpirci, basti pensare a It di Stephen King, tra i capostipiti del genere “horror di formazione”. Ciò che Re/Member non riesce a fare è trasmettere il pathos, il desiderio di rivalsa, i significati profondi di amicizia e di legame che King ci ha sempre donato con i suoi capolavori. Hasumi non è stato in grado di rendere comunicativamente forte il suo lungometraggio perché, forse, nemmeno lui sapeva come portare avanti una storia del genere.

Ancora una volta, è il ritmo a rendere inefficace il coraggioso tentativo del regista: non ci sono momenti di realizzazione, i personaggi passano da uno stato di terrore puro a provare quasi divertimento nella ricerca delle parti del corpo di Miko Onoyama senza soluzione di continuità. La lunga fase centrale del lungometraggio risulta poco riuscita anche a causa di una scarsa attenzione data al tempo a disposizione. Le esigenze di riassumere la trama (forse sarebbe stato meglio creare una serie TV piuttosto che un singolo film?) non giustificano comunque la scelta di tagliare ogni sviluppo orizzontale che l’intreccio necessitava per essere vissuto con più trasporto; e questo è un vero peccato, perché il racconto aveva senza dubbio un grande potenziale non sfruttato a dovere.

I ragazzi contro la Persona Rossa

Ciò che rende il film davvero poco armonico è la sensazione che siano stati tolti minuti preziosi dalla parte preliminare del racconto, la sua sezione preparatoria, dove di solito si costruisce il pathos e la suspense data dall’impossibilità per gli eroi di superare l’ostacolo che si pone loro davanti. Il passaggio da un momento disperato a uno disteso e di coesione tra i personaggi non viene portato sullo schermo, non c’è un climax, tutto viene dato per scontato senza che ci venga data la possibilità di vivere il cambiamento, portando alla lunga a farci disinteressare della trama.


Intrattenimento assicurato?


Nonostante gli evidenti difetti, Re/Member è comunque in grado di fare quello che a un lungometraggio è principalmente richiesto: divertire. Certo, come ogni storia simile non mancano cliché bizzarri che alla lunga rischiano di annoiare; tuttavia, un cambiamento apprezzabile rispetto al solito film basato sui loop è il non ripetere in maniera troppo insistente le stesse scene. All’inizio, in concomitanza con l’avvio delle ripetizioni, il timore più grosso era che la pellicola continuasse a mostrarci le medesime situazioni con delle piccole variazioni.

Sorprendentemente, invece, rivediamo soltanto poche scene ripetute e in maniera non ossessiva, in quanto la crescita dei personaggi avviene nel (seppur accennato) approfondimento delle dinamiche di gruppo. Non sarà quindi la ricerca del corpo a dare ai giovani l’opportunità di diventare degli esseri umani migliori, bensì l’aprirsi alla collaborazione, al conoscersi e al provare empatia per i problemi dell’altro.

Takahiro e AsukaQuesto è il punto di forza di un prodotto senza grosse pretese, ma che riesce comunque a tenerci incollati allo schermo: per tutta la sua ora e quarantadue di durata, infatti, assistiamo a una varietà di situazioni notevole per quelle che erano le premesse iniziali; tra scene a scuola, in città e persino in spiaggia, è apprezzabile lo sforzo di Hasumi nel non farci sentire il peso delle situazioni ripetitive.

Inoltre, come già accennato, il film è davvero divertente. Le scene action sono ben congegnate e risentono della tipica “logica orientale” a cui siamo sempre stati abituati, per cui ogni azione dei personaggi, anche nei momenti più disperati, è sempre (fin troppo) coerente e sensata, rendendo gli attimi più concitati estremamente godibili. Forse tutta la battaglia finale fa uso di espedienti esagerati, andando a rovinare l’idea di logica che ci ha accompagnato per tutto il film e rovesciando completamente i valori in campo visti fino a quel momento, ma il tutto rimane comunque accettabile e (soprattutto) intrattenente.

Un plauso va fatto al cast: a partire da Kanna Hashimoto (Asuka), passando per Gordon Maeda (Takahiro), tutti i ragazzi sono credibili nelle loro parti, riuscendo parzialmente a colmare le lacune di scrittura. Alla fine della storia, grazie alla bravura dei protagonisti, riusciamo persino a emozionarci, soprattutto nel finale del film, dove non si può non rimanere colpiti dalla bravura di Hashimoto.

Gli effetti speciali, considerando che si tratta di una produzione non di primissimo livello, sono comunque accettabili e non rovinano la nostra “sospensione dell’incredulità”. A volte qualche sbavatura è ravvisabile e, in generale, sarebbe stato preferibile evitare determinate scene che hanno mostrato il fianco di un budget non di primissimo livello; tuttavia, il risultato finale è sufficiente, e noi spettatori non ci sentiamo di penalizzare troppo lo sforzo compiuto dal comparto tecnico.

Ancora una volta, ciò che appare meno a fuoco è la regia: non troviamo mai idee e spunti degni di nota, il film a volte sembra incollato in maniera approssimativa senza un particolare sforzo nel costruire delle transizioni in grado di guidare il pubblico nella fruizione della storia.

Asuka scena finaleAnche la messa in scena non si dimostra particolarmente ispirata, con ambienti anonimi e poco caratterizzati, privi dell’anima misteriosa e oscura che una storia horror dovrebbe sempre avere. Persino la fotografia – che nella sequenza iniziale aveva fatto sperare in un lavoro quantomeno curato, per l’aver puntato su tinte fortemente fredde restituendo l’atmosfera gotica della trama – si appiattisce nel corso della pellicola, senza risaltare mai.

Tirando le somme, è difficile non pensare a quello che Re/Member sarebbe potuto essere. La sua storia affascinante, la possibilità di trattare di tematiche importanti e delicate, un cast azzeccato e momenti adrenalinici e divertenti sono gli elementi di forza di un’opera che sarebbe stata in grado di diventare tra gli adattamenti live action più riusciti degli ultimi anni; tuttavia, una sceneggiatura e una regia non all’altezza hanno abbassato notevolmente il livello qualitativo del prodotto finale, rendendolo dimenticabile, un classico film da guardare in un momento in cui si vuole staccare un po’ il cervello.

Difficile capire cosa sia andato storto nella produzione del film: forse, la sensazione è che il medium fosse sbagliato. Non si tratta solo di una questione di tempo, di dividere la trama in più puntate, ma anche di aver scelto una rappresentazione come il live action che non sempre si sposa alla perfezione con l’adattamento del manga. Persino lavori di ben altro spessore come Alice in Borderland hanno dovuto fare i conti con le difficoltà date dalla trasposizione nel “mondo reale” di una storia pensata per strisce e pannelli disegnati. Viene spontaneo chiedersi se una seconda versione animata (dopo il breve tentativo prodotto da Production I.G. del 2017) avrebbe reso più giustizia a un franchise che non sembra in grado di uscire dalle sue brillanti pagine.

Protagonisti di Re/Member studiano insieme un piano

La speranza è che, grazie al film di Netflix, altri creativi vogliano accettare la sfida di dare a Re/Member una nuova forma espressiva all’altezza del manga di Welzard e Katsutoshi Murase. Non ci resta che aspettare e, nel frattempo, perderci ancora una volta nell’elegante horror del duo di creativi giapponesi, nell’attesa di nuove, spaventose, storie.

In chiusura, vi lasciamo alla nostra recensione della quinta e ultima stagione di Aggretsuko.

#INBREVE
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RE/MEMBER IN BREVE: INIZIA BENE, MA...

Partiamo con i fattori positivi: Re/Member è un film che si lascia guardare sino in fondo e non ha troppe pretese; inoltre, la durata contenuta del lungometraggio (poco più di 100 minuti, titoli di coda inclusi) permette allo spettatore di godere di una trama in grado di intrattenere. Ciò che rovina l’esperienza complessiva è una fase centrale confusa e poco a fuoco, nella quale persino Eiichirō Hasumi stesso non sembra aver capito del tutto cosa fare con la sua creatura. L’idea di cambiare genere a metà pellicola avrebbe potuto funzionare nello sviluppo della trama, ma il risultato finale appare poco brillante. Una volta arrivati alla scontata conclusione, infatti, ciò che rimane di Re/Member è l’amaro in bocca per quella che si è dimostrata essere un’opera come tante altre originali Netflix, nonostante le aspettative createsi nella prima mezz’ora. Il nuovo film del creatore di Mozu è, in fin dei conti, un prodotto buono per un pomeriggio rilassante, ma nulla di davvero sorprendente. Sarà per la prossima volta.

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